Il mito, Gianni Rivera
Valle San Bartolomeo è una delle tante frazioni del comune di Alessandria. La città di san Baudolino calcisticamente è nota per la particolare maglia della sua squadra di calcio (di colore grigio, un vero unicum) e per il fatto che la stessa squadra, fino agli anni Trenta dello scorso secolo, faceva parte del celebre “Quadrilatero del calcio piemontese”. Valle San Bartolomeo però è nota per aver dato i natali ad uno dei calciatori più importanti (e forti) del nostro calcio. Un mito per tanti ragazzi e tante ragazze cresciute negli anni Sessanta/Settanta: Gianni Rivera.
Miglior prodotto dell’U.S. Alessandria, il nome “Gianni Rivera” fa rima con “Milan”. Ed il motivo è semplice: 658 presenze tra campionato e coppe, centosessantaquattro reti segnate durante le diciannove stagioni che l’ex Golden boy del calcio italiano disputò con la casacca rossonera. Per non parlare dei tanti successi ottenuti a livello nazionale ed internazionale con il club meneghino, compresa la vittoria dell’edizione 1969 del Pallone d’oro.
Ma facciamo qualche passo indietro e più precisamente alla stagione 1958/1959. L’Alessandria (allenato da mister Luciano Robotti), da due stagioni tornato in massima serie, era impegnato nella lotta per non retrocedere, era ed in rosa poteva annoverare l’ex interista Benito Lorenzi. La squadra a fine stagione si salvò, ma l’anno successivo retrocesse e da allora non disputò più nessun campionato di Serie A. Eppure in quei due campionati, i “grigi” piemontesi poterono schierare un ragazzino nato e cresciuto in città che in ventisei partite in massima serie in due campionati segnò sei reti, il sopraccitato Giovanni Rivera detto Gianni. A 15 anni e 288 giorni, Rivera debuttò in Serie A con la maglia della sua città: era il 2 giugno 1959 e giocò solo pochi minuti contro l’Inter. Si diceva un gran bene di quel ragazzino figlio di un ferroviere e di una casalinga mandrogni.
Su di lui si era fiondato il Milan del presidente Andrea Rizzoli che lo acquistò e lo lasciò un’altra stagione (la 1959/1958) in riva al Tanaro per farsi le ossa. E in quella stagione, terminata con la retrocessione in Serie B dell’Alessandria, Rivera si ritagliò molto spazio e segnò (come detto) sei reti: a oggi, è il terzo più giovane debuttante in Serie A (dietro al romanista Amadei e al sampdoriano Pellegri che hanno esordito a 15 anni e 280 giorni) e contro la Sampdoria siglò la sua prima rete in massima serie, rendendolo oggi il secondo marcatore nella classifica dei più giovani marcatori in Serie A, dietro ancora una volta ad Amadei (15 anni e 287 giorni il romanista, 16 anni e 68 giorni l’alessandrino). Si prospettava una carriera da top player per il talento di Valle San Bartolomeo, pagato complessivamente 90 milioni di lire di allora dalla compagine milanista.
Al Milan trovò “Gipo” Viani e Nereo Rocco, il suo mentore, il suo “secondo” padre. Eppure il paron lo ritenne all’inizio acerbo per la Serie A e spinse affinché disputasse un’altra stagione in massima serie in un’altra squadra. Viani, DT del club, rifiutò categoricamente e nell’estate 1960 si “celebrò” uno dei matrimoni più lunghi ed intensi del nostro calcio: per 19 anni consecutivi, Gianni Rivera legò il suo nome al Milan e per diciannove anni consecutivi, il Milan legò il suo nome a Gianni Rivera.
In due settimane (tra il 18 ed il 25 settembre 1960) debuttò prima in una partita ufficiale (Coppa Italia, contro l’Alessandria) e poi in campionato (contro il Catania a Milano) con la maglia del Diavolo. In diciannove anni (di cui le ultime dodici da capitano) Rivera vinse tre scudetti, quattro Coppe Italia, due Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale, due Coppe delle Coppe ed una classifica marcatori (nella stagione 1972/1973 con diciassette reti, insieme a Pulici e Savoldi). Con lui in squadra, il Milan si piazzò sei volte secondo e perse una finale di Coppa Intercontinentale, una di Coppa delle Coppe e una di Supercoppa europea.
Il punto più alto della carriera di Rivera fu il biennio 1968-1969: vittoria di scudetto, Coppa delle Coppe e Campionato d’Europa con la Nazionale; vittoria in Coppa dei Campioni, Coppa Intercontinentale e Pallone d’oro. Quella fu la prima vittoria nel premio indetto da France Football da parte di un italiano e in quell’edizione si piazzò secondo Gigi Riva. A parte la vittoria dell’oriundo Omar Sivori (1961), fino ad allora i migliori piazzamenti di giocatori italiani erano stati i secondi posti dello stesso Rivera (dietro al divino Lev Yashin nel 1963) e Giacinto Facchetti (alle spalle di Eusebio due anni dopo). Sempre nel 1968, Gianni Rivera fu tra i promotori della nascita della Assocalciatori.
Inizialmente schierato nel Milan come ala destra, solo dal secondo campionato Rocco e Viani decisero di spostarlo dietro alle punte (una sorta di trequartista ante litteram) e proprio il cambio di ruolo fece emergere il miglior Rivera: palla incollata al piede, dribbling, assist al bacio, eleganza nei movimenti. Tanto per capirci, basta vedere la partita che fece contro l’Ajax di Michels e Cruijff nella finale di Coppa dei Campioni del 1969.
Se Rivera è diventato un football legend lo deve anche a Nereo Rocco, colui che lo svezzò (calcisticamente) e che lo fece maturare. Un rapporto fraterno fra due uomini così diversi tra loro, ma che hanno scritto pagine importanti del calcio nel nostro Paese.
Rivera però ebbe molti problemi con l’allora presidente rossonero Albino Buticchi, tanto che nell’estate 1975 paventò la sua cessione al Torino dopo l’allontanamento di Rocco. La piazza si infuriò perché non voleva perdere il suo capitano. Il capitano rossonero ebbe alcuni problemi con altri due allenatori (Gustavo Giagnoni e Giuseppe Marchioro) e al termine della stagione 1974/1975 decise di ritirarsi dall’attività agonistica per protesta. Solo il terzo ritorno di Rocco al Milan e l’addio alla presidenza di Buticchi fecero cambiare idea a Rivera.
La sua ultima stagione da calciatore Rivera la disputò nel 1978/1979, campionato che si concluse con la vittoria del tricolore dopo undici stagioni di attesa. Fu un campionato storico: la vittoria valse al Milan la stella sul petto, essendo il decimo titolo nazionale conquistato. La sua ultima partita in rossonero fu all’Olimpico di Roma contro la Lazio.
Questo è stato il Rivera calciatore del Milan, ma la storia calcistica del Golden boy è stata legata moltissimo alla Nazionale, tra alti e bassi.
Nel 1960 Rivera, 17enne, prese parte alla spedizione italiana alle Olimpiadi di Roma con la nostra Nazionale che perse il bronzo contro l’Ungheria. Due anni dopo lo stesso Rivera ricevette la sua prima convocazione con i “grandi” in Belgio-Italia del 13 maggio 1962, con vittoria azzurra. Da quel momento vestì l’azzurro fino al giugno 1974, disputando in tutto 60 partite con quattordici reti segnate, partecipando a quattro Mondiali consecutivi e ad un Campionato europeo. Il suo palmares in azzurro vide la vittoria nell’Europeo casalingo del 1968 (non giocando però la finale contro la Jugoslavia) ed un secondo posto al Mondiale di Messico ’70. Ma il percorso in Nazionale di Rivera fu tortuoso: dall’essere considerato poco maturo per giocare ad alti livelli all’essere uno dei colpevoli dell’eliminazione contro la Nord Corea nel Mondiale inglese, al dualismo con Sandro Mazzola all’essere un giocatore difficile da collocare in campo.
Fu il Mondiale messicano del 1970 a dividere l’Italia calcistica: da una parte i pro-Rivera passarono l’estate ad affermare che non doveva esserci la famosa “staffetta” con Mazzola e che il loro beniamino non doveva giocare solo gli ultimi sei minuti della finale contro il Brasile, visto che in semifinale contro la Germania ovest segnò il gol del definitivo 4-3 al 111′, mentre gli anti-Rivera pensavano esattamente il contrario e lo criticavano aspramente.
A mettere ulteriore benzina sul fuoco ci pensò (però in tempi non sospetti) Gianni Brera che proprio non riusciva a farsi entusiasmare dalle giocate di Rivera. Il giornalista definì il giocatore “abatino”, un giocatore che “poteva essere ma che non è stato”, unendo tecnica sopraffina ad un fisico fin troppo gracile (“un grande mezzo giocatore” fu il suo lapidario giudizio).
Negativo fu il suo rapporto con la carta stampata e con la classe arbitrale. Il motivo? Tante uscite contro le “giacchette nere” e contro i giornali che non tutelavano né lui né il Milan. Gli attacchi più duri li lanciò contro l’allora designatore arbitrale Giulio Campanati, l’arbitro Concetto Lo Bello ed il giornalista Gualtiero Zanetti, ai tempi direttore de La Gazzetta dello Sport.
A parte tutte queste polemiche, Rivera è considerato come uno dei più grandi calciatori italiani di tutti i tempi, leader di una generazione che fece tornare grande il nostro calcio a livello europeo e mondiale negli anni Sessanta/Settanta. Un giocatore che ha fatto del dribbling e dell’assist una vera “arma”, la fantasia al potere, l’eleganza con gli scarpini neri, un giocatore che ha segnato un’epoca. Come il suo rapporto con padre Eligio, il francescano vicino alle persone bisognose che fu il padre spirituale del Milan durante i suoi anni rossoneri e che ebbe un rapporto privilegiato e molto intimo con Rivera, tanto che diventò la sua “guida”.
Appesi gli scarpini al chiodo, Gianni Rivera iniziò la carriera dirigenziale nel Milan, ricoprendo al carica di vice-Presidente tra il 1979 ed il 1986, durante le presidenze Colombo e Farina, macchiate dal “totonero”, dalla doppia retrocessione in Serie B ed il fallimento sventato con l’arrivo di Silvio Berlusconi nel febbraio 1986, che coincise con il suo addio definitivo al Milan dopo trentasei anni.
L’ex Golden boy non rimase “a spasso” e grazie alla sua amicizia con Giovanni Goria e Bruno Tabacci si gettò nell’agone politico con la Democrazia cristiana, venendo eletto deputato nella decima legislatura (1987-1992), diventando il primo ex calciatore ad approdare in Parlamento. Rimase a Montecitorio fino al 2001, venendo eletto in tre legislature consecutive (1992-1994; 1994-1996; 1996-2001), due volte con la Dc, una con il Patto Segni ed una con l’Ulivo, ricoprendo tra il 1996 ed il 2001 il ruolo di Sottosegretario alla Difesa nei governi Prodi, d’Alema e Amato.
Nel 2005 divenne parlamentare europeo, primo dei non eletti nella circoscrizione Nord-Ovest. Nel 2001, dopo aver perso il seggio parlamentare (ironia della sorte contro Silvio Berlusconi), ebbe l’incarico di super-visionare le politiche sportive del Comune di Roma durante i due mandati di Walter Veltroni. Nel 2010 ebbe l’incarico di Presidente del Settore giovanile-scolastico della FIGC e tre anni dopo passò al Settore tecnico.
Calcisticamente, Rivera ha diviso l’opinione pubblica tra chi lo considerava un giocatore arrivato da un altro pianeta e chi lo riteneva un giocatore difficile da gestire dal punto di vista tattico e capace di mettere sempre in crisi l’allenatore di turno, nonché uno dei tanti buoni calciatori passati sui campi della nostra Serie A.
Eppure oggi parlando di lui ci si ricorda di un altro calcio: dalle maglie senza sponsor e senza il cognome sulla schiena agli scarpini neri, dagli stadi gremiti alle partite che si giocano tutte in contemporanea la domenica pomeriggio, con tutti gli appassionati collegati con le radioline.
Rivera è stato il massimo esponente di un calcio nostalgico che fa ancora scaldare il cuore di tutti i giovani tifosi dei suoi tempi e di quelle ragazzine che oggi, chi mamma e chi nonna, non cambiano canale quando il “bel Gianni” appare sul grande schermo.