Football Legend George Weah

George Weah, cuore rossonero

Calcio e politica, due cose che non dovrebbero intrecciarsi mai, ma che spesso (forse troppo) vanno a braccetto. La politica è diventata però poi un “lavoro” per alcuni calciatori che hanno deciso di appendere gli scarpini al chiodo: da semplici consiglieri comunali a sindaci, da sottosegretari a deputati e senatori. In Italia, come all’estero. Lo spazio “Football Legend” di questa settimana è dedicato ad uno degli attaccanti più forti degli anni Novanta, un uomo che ha dato tanto al calcio del suo Continente (l’Africa), dalla causa antirazzista alla lotta alle discriminazioni. Un uomo che dallo scorso gennaio è addirittura Presidente del suo Stato (la Liberia), un uomo dalle mille sfaccettature ma con la testa sulle spalle e con le spalle larghe: George Weah.

Classe 1966, George Weah è nato in una delle baraccopoli più povere e violente di Monrovia, la capitale della Liberia. Difficile la vita da quelle parti: povertà estrema, malattie che mietono vittime come la violenza nelle strade polverose. La Liberia, primo Stato africano indipendente, era un Paese difficile e anche la vita in casa Weah lo era: il piccolo George crebbe con la nonna perché i genitori erano separati e l’ambiente famigliare non era dei migliori. Questa donna lo educherà (insieme ai suoi dodici fratelli) a non fare la fine che fanno tanti giovani liberiani, ovvero entrare nel tunnel della violenza e dello sfruttamento. George aveva un sogno: fare il calciatore. Un sogno irrealizzabile in un Paese non solo povero economicamente, ma anche sportivamente. Weah ci credeva, ma per vivere trovò lavoro come impiegato per sbarcare il lunario presso l’azienda di Stato delle telecomunicazioni.

George Weah iniziò a giocare con gli Invincible Eleven e a 21 anni firmò con i camerunensi del Tonnerre Yaoundé, rimanendovi una stagione. Weah (che ebbe un breve trascorso da portiere) era forte fisicamente, aveva visione di gioco e correva. Correva tantissimo e come tanti giovani africani che sognano di vivere di calcio, ecco arrivare la chiamata dell’Europa. E, come tanti, ecco l’opportunità francese.

Ad interessarsi dell’allora 22enne Weah ci pensò il Monaco. La squadra del Principato era allenata da un uomo di 39 anni che tempo dopo verrà considerato un santone del calcio, Arsène Wenger. Il tecnico alsaziano capì di avere in rosa un giocatore eccezionale e, usando un approccio quasi paterno, volle farlo diventare un giocatore di caratura internazionale.

In biancorosso rimase quattro stagioni, segnando 59 reti e contribuendo a vincere una Coppa di Francia, mentre in campionato il sodalizio biancorosso monegasco si classificò due volte secondo dietro all’Olympique Marsiglia, padrone assoluto allora del calcio transalpino. Il miglior piazzamento europeo del Monaco con Weah in squadra afu la finale di Coppa delle Coppe persa nel 1992 contro il Werder Brema.

Per fare il salto di qualità gli serviva la squadra francese che…poteva fargli fare il salto di qualità: il Paris Saint Germain. Nella capitale transalpina rimase tre stagioni, segnò meno che in riva al Mediterraneo ma si completò tecnicamente e vinse un titolo nazionale, due Coppe di Francia e una Coppa di Lega mentre a livello europeo la squadra della capitale raggiunse tre semifinali consecutive: Coppa Uefa 1993, Coppa delle Coppe 1994 e Champions League 1995. A livello personale, nel 1994, vinse il suo secondo Pallone d’oro africano. Ma la Francia iniziava a stargli stretta e per uno come lui serviva un grande palcoscenico, la grande squadra.

Nell’estate 1995 ecco che George Weah prese un aereo e volò alla volta di Milano, sponda rossonera. Dopo vari tentativi, la squadra meneghina era riuscita a prendere l’asso di Monrovia, sborsando 11 miliardi. Compito di Weah: segnare, possibilmente non facendo rimpiangere un certo Marco van Basten, ritiratosi proprio quell’estate

Weah rimase in riva al Naviglio rossonero quattro stagioni (e mezzo), divenendo uno dei giocatori più forti della sua generazione. Il numero 9 liberiano debuttò in campionato contro il Padova il 27 agosto 1995: gol dopo sei minuti e assist al bacio per Franco Baresi. Non male come presentazione. Entrò nella storia nel dicembre 1995 vincendo il Pallone d’oro: per la prima volta, grazie anche al cambiamento nel regolamente, un giocatore non europeo che militava in una squadra europea si aggiudicò l’ambito premio di France Football. Weah superò Jürgen Klinsmann e Jari Litmanen e nel mentre vinse anche il FIFA World Player davanti a Paolo Maldini ed ancora una volta davanti all’attaccante tedesco allora in forza al Bayern Monaco. Da allora (e sono passati 23 anni), nessun altro giocatore africano ha più vinto i due premi. Ca va sans dire che nel 1995 vinse il suo terzo Pallone d’oro africano.

Weah con la maglia del Milan arrivò ad un livello tecnico molto alto, giocando in una squadra nel complesso molto forte, composta da individualità eccezionali. E quando si parla di Weah e di Milan, la mente vola (per forza) all’8 settembre del 1996: contro l’Hellas Verona, l’attaccante liberiano segnò uno dei gol più belli del nostro calcio. Al rossonero, dopo aver preso palla, bastarono quattordici secondi per segnare: partì in accelerazione da fondocampo, scartò una selva di gambe compiendo un coast to coast incredibile da porta a porta e segnò. Tutto lo stadio milanese di alzò in piedi, incredulo di aver visto una perla (calcistica) di quel tipo.

Weah in rossonero divenne uno dei più forti attaccanti del Mondo e capì che il vero attaccante non doveva “vivere” in area di rigore, ma doveva tornare a centrocampo e anche più indietro per prendere la palla e ripartire in attacco. E per uno che si è sempre sacrificato in campo, al Milan raggiunse il suo zenith

George Weah chiuse l’esperienza al Milan il 14 dicembre 1999 dopo un match di Coppa Italia contro l’Atalanta. Per lui, 147 partite, cinquantotto gol totali e due soli scudetti vinti.

Nel gennaio 2000 Weah oltrepassò la Manica, giocando prima sei mesi con il Chelsea e poi altri sei con il Manchester City (lontani parenti delle attuali squadre), vincendo solo una FA Cup con i Blues da attore non protagonista. Dopo una parentesi di altri sei mesi all’Olympique Marsiglia, Weah chiuse la carriera a Al Jazira, negli Emirati arabi, nell’estate 2002.

Se Weah è noto per i successi con le squadre di club, con la Nazionale liberiano non ci furono successi, anche perché la Selezione delle Stelle solitarie è una delle più povere tecnicamente del Continente africano, anche se con “King George” in squadra prese parte a due edizioni della Coppa Africa e perdendo il “treno qualificazione” al Mondiale nippo-giapponese del 2002 per un solo punto. Ovviamente George Weah è al primo posto in Nazionale come gol segnati (sedici) e presenze (sessanta). Per capire la forza di Weah, basta pensare che è stato capitano della Nazionale liberiana dai 21 anni fino al ritiro e fu l’allora Capo dello Stato Samuel Kanyon Doe a dargli la fascia di capitano.

Dopo il suo ritiro George Weah si gettò nell’agone politico del suo Paese, cercando di dare qualcosa di importante. Si candidò per le elezioni presidenziali nel 2005 e nel 2011, senza riuscire ad essere eletto: nel primo caso vinse il primo turno ma perse il ballottaggio, mentre nel secondo corse come vicePresidente ma il ticket uscì sconfitto. Nel frattempo aveva fondato il “Congress for Democratic Change”, si era laureato in Business administration in un’università americana ed era diventato senatore pochi anni dopo.

Ma Weah non mollò e si candidò anche per l’elezione dello scorso ottobre: ottenne più voti di tutti e al ballottaggio ebbe la meglio su Joseph Boakai, vicepresidente dal 2005, vincendo la competizione. Dallo scorso 22 gennaio, George Tawlon Manneh Oppong Ousman Weah è Presidente della Repubblica liberiana. Una vittoria che ha visto per la prima volta un ex calciatore professionista diventare Capo dello Stato. Una sfida difficile gestire un Paese che solo quindici anni fa vide finire una cruda guerra civile che ha impoverito di più un Paese fragile bersagliato fino a cinque anni fa dall’ebola.

Il calcio africano dai tempi di George Weah è cresciuto in maniera esponenziale e sono saliti alla ribalta i vari Diouf, Eto’o, Drogba, Yaya Touré e “Momo” Salah. Di questi, tanti hanno vinto titoli nazionali, coppe nazionali ed internazionali ma nessuno ha saputo eguagliare ciò che ha fatto George Weah. Weah ce l’ha fatta: è diventato un mito del calcio, facendo uscire l’Africa dall’anonimato calcistico. Un mito che ha fatto della corsa la sua arma in più e del gol la sua ragione di vita.

Ora dovrà dare alla Liberia quello sprint in più per diventare una Nazione competitiva ed uscire dal baratro di povertà e violenza che la circonda. Riuscirà George da Monrovia a fare un altro coast to coast? Certo è che guidare un Paese non è come giocare a calcio, ma tutti sperano che Weah possa far bene come ha fatto quando era in campo. E intanto speriamo che il figlio Timothy, classe 2000, attualmente in forza al PSG, possa seguire le orme paterne. Anche se di “King George” il calcio mondiale ne ha visto uno solo.