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Football Legend, il ‘genio’ Savicevic

Il genio, idolo e simbolo dei cuori rossoneri

Il rapper milanese Jake La Furia è un tifoso del Milan e lo ha fatto capire nel ritornello della sua “Gli anni d’oro”: “gli anni d’oro del grande Milan/gli anni di van Basten e di van Damme”. In quella canzone, la sua prima da solista, il cantante elencava i fatti principali della sua infanzia/giovinezza che non torneranno, ma che saranno sempre indelebili nella sua vita. Nella sua, come in quella di coloro che sentendo il pezzo si sono ritrovati nelle sue rime. Jake nella canzone ricorda un fatto calcistico che lo ha segnato e ciò lo ha riportato in musica: “ricordo il Genio mentre scavalca Zubizzarreta”. Se Zubizzarreta è ricordato come il mitico portiere del Barcellona “Dream team” di Cruijff, chi era il “Genio” che lo scavalcò? I nostri lettori milanisti avranno subito capito a chi ci stiamo riferendo e nel pensarlo hanno visualizzato il gol pazzesco che ha fatto la sera del 18 maggio allo stadio Olimpico di Atene, contro il portiere spagnolo. Per chi non lo sapesse, ci stiamo riferendo a Dejan Savicevic. E’ lui il protagonista dello spazio “Football Legend” di questa settimana.

Parlare di Savicevic fa venire in mente due sole (grandi) cose: il “Milan degli Invincibili” e la Nazionale jugoslava di calcio, è stato il “genio” delle due squadre.

Stiamo parlando di un ragazzo nato nell’attuale Podgorica e che partendo dalla locale squadra del Budućnost Titograd, tra il 1988 ed il 1994, ha scritto pagine di calcio indelebili per il suo martoriato ex Paese sfasciato e diviso in più entità, con le maglie della Stella Rossa Belgrado e del Milan.

Dejan Savicevic è stato uno dei fari della “generazione di fenomeni” della ex Jugoslavia che se il Paese non si fosse diviso avrebbe vinto qualche trofeo importante senza ombra di dubbio. Uno su tutti, l’Europeo svedese del 1992 con la Danimarca chiamata a sostituire proprio la Nazionale balcanica per motivi bellici. Che Jugoslavia era quella, chiamata non a caso “Brasile d’Europa”, la squadra nazionale che giocava il calcio migliore del Continente con dei giocatori dal carisma e dalla tecnica sopraffina. Molti giocatori di quella squadra cinque anni prima avevano vinto il Mondiale Under 20 in Cile.

Le strade di Savicevic e del Milan si incontrarono la prima volta la sera del 27 ottobre 1988. Gli ottavi di finale della ex Coppa dei Campioni misero di fronte, nel match di andata al “Meazza”, i rossoneri contro la Stella Rossa: 1-1 il risultato finale, con gli ex jugoslavi in posizione favorevole per passare il turno nel return match. A Stojkovic (alter ego di Savicevic) rispose Virdis e a Belgrado ci sarebbe voluto un miracolo per il Milan. E il miracolo, mercoledì 9 novembre, si materializzò sotto forma di nebbia: sotto 1-0, la partita al “Marakana” di Belgrado fu sospesa per nebbia al minuto 57′. Il gol del vantaggio jugoslavo fu siglato da Savicevic. Gol inutile, visto che la partita fu interrotta e ripresa il giorno dopo da 0-0. A van Basten (di testa) rispose ancora Stojkovic con un gran gol, lanciato a rete da una magia di Savicevic. 1-1 al 90′, 1-1 ai supplementari e calci di rigore per decidere chi avrebbe affrontato nei quarti il Werder Brema. Savicevic e Mrkela sbagliarono dal dischetto e i milanisti superarono il turno, andando poi a vincere il trofeo in finale contro lo Steau Bucarest.

Il mondo del calcio rischiò di non vedere alla ribalta il Grande Milan di Sacchi, mentre la Stella Rossa prese le misure della coppa. Coppa che poi vincerà tre anni dopo, sconfiggendo ai rigori in finale l’Olympique Marsiglia a Bari. Quella squadra aveva in rosa talenti spettacolari proprio come Savićević, Pančev, Jugović e Mihajlović (che giocarono anche in Italia) e Prosinečki che giocò con Real e Barcellona. C’erano macedoni, croati, serbi e montenegrini.

In quella Stella Rossa il talento più indiscusso era proprio Savicevic, 24 anni allora (è del settembre 1966) e riconosciuto come uno dei più fantasiosi giocatori della sua generazione e non solo balcanica. Savicevic segnò il suo rigore e i biancorossi di mister Petrović alzarono al cielo del San Nicola la seconda Coppa dei Campioni vinta da una squadra dell’Est, cinque anni dopo lo Steaua Bucarest. Se i rigori tre anni prima avevano punito la Stella Rossa, ora l’avevano premiata. E con Stoijkovic finalista perdente (essendo passato l’estate prima al club di Marsiglia), tutti gli occhi del calcio europeo erano sul numero 10 di Titograd. Il club di Belgrado vinse poi la Coppa Intercontinentale l’8 dicembre 1991 (con Savicevic espulso), ma perse, nonostante una gran bella partita, la finale di Supercoppa europea contro il Manchester United, vincitore della Coppa delle Coppe. Lo stesso dicembre, fu un tripudio per il calcio jugoslavo: due giocatori della Stella Rossa sul podio del Pallone d’oro, con Savicevic e Pancev secondi a pari merito dietro a Jean Pierre Papin. Il 1991 è considerato lo zenith del calcio balcanico.

Nel 1992 però la guerra imperversò e tutti i più forti giocatori balcanici emigrarono lontano dal loro Paese. Il Milan quell’estate fece una campagna acquisti sontuosa: arrivarono Lentini, de Napoli, Eranio e Papin, ma soprattutto due giocatori jugoslavi di due Paesi che si odiavano a morte, il croato Boban e il montenegrino Savicevic, amici nella vita di tutti i giorni. Boban era noto per i fatti del “Maksimir”, quando, il 13 maggio 1990, in una rissa in campo tra tifosi di Dinamo Zagabria, Stella Rossa Belgrado e polizia, diede un calcio volante ad un poliziotto che stava malmenando un tifoso della Dinamo, dando, indirettamente, il via al conflitto.

Per soli 13 miliardi, il “genio” Savicevic si andava ad unire ad una squadra fortissima in tutti reparti, ma che mancava del giocatore fantasioso.

Arrivato a Milanello con le stimmate del predestinato e dei risultati ottenuti con la Crvena zvezda. Savicevic vestì i colori del Milan per sei stagioni, vincendo tre scudetti, tre Supercoppe nazionali, una Champions League ed una Supercoppa europea. Il Milan quell’estate tesserò un Signor giocatore dotato di estro e tecnica, possesso palla e rapidità, fantasia e genialità. Peccato che in quel Milan che fece la storia del nostro calcio, un giocatore come Savicevic fosse sprecato. Tu pensa: uno come Savicevic sprecato, che squadra aveva il Milan allora? Non a caso lo chiamavano “degli Invincibili”. Eppure l’attesa era forte nei suoi confronti, visto che si presentava come il più forte calciatore dell’Est dell’epoca. Non giocò con regolarità, tra infortuni vari e scelte tecniche che non lo fecero mai andare d’accordo con Fabio Capello.

Il primo anno fece discretamente, mentre grazie alla caviglia malandata di van Basten, Savicevic si ritagliò più spazio e la stagione 1993/1994 la chiuse con il double: campionato e Champions League. E che Champions League: Atene, stadio Olimpico, 18 maggio 1994. Il Milan di Fabio Capello (privo di Baresi e Costacurta), finalista la stagione precedente, si sarebbe giocato la coppa dalle grandi orecchie niente meno che contro il Barcellona “dream team” di Cruijff che aveva vinto la Coppa due anni prima contro la Sampdoria e che poteva schierare gente del calibro di Koeman (castigatore della Samp), Guardiola, Stoičkov, Romario e Beguiristain. I catalani partirono (a loro avviso) da assoluti favoriti, Cruijff prese alla leggera la squadra milanista e questa diede una lezione di calcio (e di umiltà) all’ex profeta del gol: 4-0 senza se e senza ma, con Savicevic autore del grande assist per il gol iniziale di Massaro, con lo stesso numero 10 a chiudere i conti, al secondo della ripresa, con un pallonetto laterale preciso e che scavalcò Zubizzarreta. Milan per la quinta volta sul tetto d’Europa e Savicevic MVP dell’incontro. Pochi secondi prima del poker di Desailly, Savicevic aveva colpito un palo clamoroso

I rossoneri, guidati ancora dal “genio” del (futuro) Montenegro, vinsero poi la Supercoppa europea contro l’Arsenal, ma furono sconfitti nella finale di Coppa Intercontinentale dai misconosciuti argentini del Vélez Sarsfield a Tokio.

Se in campionato Savicevic andava ad intermittenza (34 gol complessivi in maglia rossonera), in Europa veniva fuori il vero talento: chiedere a Benfica (quarti) e Paris Saint Germain in semifinale nella stagione 1994/1995, dove il fantasista jugoslavo fu decisivo, soprattutto contro i francesi con l’assist per il gol vittoria di Boban in pieno recupero e con la doppietta nel return match. Milan per la terza volta consecutiva in finale di Champions League questa volta a Vienna contro l’Ajax di Van Gaal. Gli olandesi vinsero la coppa con un gol del futuro milanista Kluivert che spezzò i sogni di gloria del Milan che chiuse di fatto il ciclo capelliano. Con i se e con i ma non si gioca a calcio (e non si vincono le coppe), ma sarebbe curioso sapere cosa avrebbe fatto il Milan con in campo Savicevic, infortunatosi durante la rifinitura e quindi assente.

Gli infortuni iniziarono ad essere troppi, il rapporto con Capello non decollò mai e neanche con Tabarez e Sacchi andò meglio. Nell’estate 1998 Dejan salutò il Milan e l’Italia.

Fino al successivo gennaio, Savicevic rimase senza squadra per poi accettare l’offerta della sua ex Stella Rossa, dove giocò solo tre partite senza segnare ed incidere. Ritiro vicino? No, perché in estate accettò la proposta dell’Austria Vienna e in due discrete stagioni giocò e segnò con regolarità. Non vinse nulla, ma al “Prater” fece vedere che il “genio” era ancora capace di fare magie con il piede sinistro, anche se il suo livello “impegnativo” era molto calato.

In Nazionale prese parte a due Mondiali, quello di Italia ’90 e di Francia ’98: nel primo la Jugoslavia fu eliminata ai rigori dall’Argentina ai quarti di finale (con gol di Savicevic dal dischetto), mentre nel secondo la Selezione jugoslava disse addio negli ottavi per mano dell’Olanda. Disputò 56 reti, segnando in ventinove occasioni con la maglia della Jugoslavia vera e propria e della Jugoslavia costituita geograficamente dalle attuali Serbia e Montenegro.

Savicevic, tra il 2001 ed il 2003, si sedette sulla panchina della Nazionale jugoslava (attuale Serbia), dove non fece bene, non qualificandola né per il Mondiale nippo-coreano prima e né per per l’Europeo portoghese dopo, visto che fu esonerato l’anno prima.

Cosa fa attualmente il “genio”? Siede sulla poltrona di numero 1 della Federcalcio montenegrina, nata nel 2007 dall’indipendenza dalla Serbia, ma che a oggi non si è ancora qualificata per nessuna manifestazione internazionale. Stipendio zero, ma tanta voglia di far emergere il bacino calcistico del suo Paese. Prima di allora era stato vice-Presidente della Federcalcio della Serbia-Montenegro per tre anni.

Dejan Savicevic rimane uno dei giocatori più forti della storia della ex Jugoslavia, frutto di una generazione di fenomeni che hanno fatto sognare un Paese complicato, ma passionale verso gli sport di squadra. Ma lui è stato altro: è stato il “genio” perché un giocatore normale le cose che faceva lui non le faceva. Ci si poteva avvicinare, ma non superarlo e ancora oggi il gol del numero 10 rossonero (allora in maglia bianca) ad Atene è considerato come uno dei più belli segnati nella storia delle finali della coppa calcistica più importante di tutte.

Il “genio” ha emozionato folle, ha fatto battere le mani ai suoi avversari per le giocate di fino che tirava fuori dal cappello (ops…dalla lampada), una sorta di opera d’arte prestata al gioco del calcio. Quel dribbling, quella giocata all’ultimo secondo marcato dagli avversari e quel sinistro hanno fatto innamorare una generazione di tifosi rossoneri e fatto rosicare le avversarie, visto che con appena (per l’epoca) solo 13 miliardi, Berlusconi aveva “regalato” a Capello un vero talento. Lasciamo stare che poi il tecnico di Pierins giocava senza trequartista e con il centrocampo a quattro puro, ma Savicevic, anche in una posizione che non lo metteva a suo agio, dispensò grandi giocate.

Se con Capello il rapporto non fu ottimo, con Berlusconi fu sensazionale visto che l’allora Presidente del club rossonero aveva un debole per i giocatori “alla Savicevic” e fu proprio lui a volerlo e fu lui a convincerlo a rimanere al Milan dopo l’opaca prima stagione dove aveva tutti contro in panchina. Savicevic trovò in Berlusconi un mentore e lui lo ripagò con gol, giocate deliziose e numeri da cineteca.

Eppure Savicevic poteva dare di più: tra infortuni, errori tattici e quell’indole slava che lo accompagnò per tutta la carriera, il più forte giocatore montenegrino della storia può essere considerato un incompiuto. Poteva vincere di più, poteva segnare di più: questo è poco ma sicuro.

Ma con i “poteva” e i “magari” (come per i se e per i ma) non si gioca a calcio, eppure il suo carattere forse lo ha reso meno “genio” di quanto sarebbe potuto essere. Troppo discontinuo, poco impegnato a difendere, troppo introverso. Ma tant’è: nessuno è perfetto nella vita, figurarsi su un rettangolo verde di gioco.

Tutti i tifosi del bel calcio ringrazieranno il “Dio del calcio” per aver loro dato la possibilità di vivere nell’epoca de “gli anni d’oro del Grande Milan” e dei ricordi del “Genio mentre scavalca Zubizzarreta”.

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