L’Italia e Bearzot
“Campioni del Mondo! Campioni del Mondo! Campioni del Mondo!”. Queste tre magiche parole, ripetute per tre volte consecutive da Nando Martellini, fanno tornare alla mente di tutti quanti la fantastica finale dell’11 luglio 1982 quando l’Italia si impose sulla Germania Ovest per 3 a 1, consegnando agli azzurri la terza Coppa del Mondo a distanza di quarantaquattro anni dalla vittoria del mondiale francese. Paolo Rossi, Marco Tardelli ed Alessandro Altobelli furono i mattatori della bellissima serata del “Bernabeu” che vide Zoff e soci avere la meglio sulla più quotata compagine teutonica campione d’Europa in carica.
E pensare che quello era un Campionato del Mondo dove l’Italia non solo non si pensava potesse arrivasse in finale, ma che si pensava sarebbe uscito già nella seconda fase a gironi visto che aveva passato la prima fasesolo per la miglior differenza reti, dopo i pareggi con Polonia, Perù e Camerun.
Il deus ex machina del Mondiale spagnolo fu l’allora CT azzurro, Vincenzo Bearzot detto “Enzo. Il taciturno allenatore friulano, con un passato da mediano nel Torino nella prima metà degli anni Cinquanta, è stato il vero artefice del miracolo italiano. Il motivo? Semplice: aver creduto sin dalle convocazioni nella sua Italia e su quel gruppo di giocatori. E i risultati gli hanno dato ragione.
Furlan di Aiello del Friuli, dopo aver giocato per diciotto anni tra Serie A e B con le maglie di Pro Gorizia, Catania, Inter e Torino ricoprendo il ruolo di mediano, Bearzot riuscì anche a collezionare una presenza in Nazionale: il 27 novembre 1955 giocò titolare contro i vice-Campioni del Mondo dell’Ungheria e il suo “uomo” era un certo Puskas.
A partire dal 1964, subito dopo il ritiro, decise di fare l’allenatore grazie ai consigli del suo amico (e conterraneo) Nereo Rocco, entrando nello staff del club granata al fianco del paron e di Fabbri, per per poi accomodarsi, nel 1968, sulla panchina del Prato, in Serie C.
Dalla stagione successiva entrò nei ranghi della Federcalcio, allenando la Under 23. Nei Mondiali del 1970 e 1974 fu assistente di Ferruccio Valcareggi e prima del Mondiale tedesco lo divenne di Fulvio Bernardini. Dal 27 settembre 1975 al 8 giugno 1977, Bearzot divenne Commissario tecnico in tandem con “Fuffo” ma l’Italia non si qualificò a Euro 1976 in Jugoslavia. Dall’8 ottobre 1977 Bearzot divenne Commissario “unico” e da allora nacque il suo mito: quarto posto al Mondiale argentino l’anno successivo, quarto posto nell’Europeo casalingo del 1980 e campione del Mondo nel 1982. Con l’aggiunta della mancata qualificazione a Euro ’84 e del mediocre mondiale messicano del 1986.
Sin dall’inizio, la critica fu molto aspra con la Federazione per aver assegnato la panchina della Nazionale ad un allenatore poco esperto come il “vecio” e che faceva giocare la squadra con una metodologia tattica obsoleta.
Gli azzurri si qualificarono a Spagna ’82 dietro la Jugoslavia in un girone non impossibile, mentre sul nostro calcio aleggiava il fantasma del “toto nero” che aveva colpito, due anni prima, il nostro calcio, con le retrocessioni in B di Milan e Lazio, le penalità da scontare il successivo campionato da parte di Avellino, Bologna e Perugia, la radiazione dell’allora presidente del Milan Colombo, le squalifiche di Albertosi, Manfredonia, Wilson e della coppia d’attacco dell’Italia per Euro 1980, Rossi e Giordano. Senza contare l’immagine indelebile delle macchine della polizia a bordo campo per arrestare i calciatori accusati di combine.
La carta stampata era contro Bearzot e la qualificazione al Mondiale spagnolo fu solo un breve momento di riappacificazione con il tecnico friulano che fu attaccato da tutte le parti per colpa del suo operato e per le convocazioni sui generis.
L’Italia venne inserita nel girone 1 (eravamo teste di serie) con la temibile Polonia di Boniek e Lato, l’ostico Perù di Cubillas e Barbadillo e i “leoni indomabile del Camerun” del portierone N’Kono, al loro primo Mondiale.
La Nazionale partì sotto i peggiori auspici non solo perché le partite di avvicinamento alla kermesse furono pessime (il clou fu la stentata vittoria contro i portoghesi del Braga neo promossi allora in Primeira Liga) non solo per il gioco stentato, ma soprattutto per le convocazioni: Bearzot decise di lasciare a casa il capocannoniere della Serie A, Roberto Pruzzo, e l’interista Beccalossi, da quattro stagioni tra i giocatori più interessante del panorama nazionale, per fare posto a Paolo Rossi, tornato a giocare solo ad aprile dopo la squalifica oppure. Senza contare di aver chiamato giocatori troppo giovani (Bergomi, Baresi, Massaro) ed altri senza esperienza internazionale (Vierchowod, Selvaggi). Fu anche criticato per aver dato fiducia al 40enne Zoff, considerato “alla frutta” e non più sicuro davanti ai pali come un tempo. Inoltre pesò come un macigno l’assenza per infortunio dello juventino Bettega.
La forza di Bearzot fu quella di aver fatto gruppo, di aver protetto la sua “creatura” dagli attacchi esterni, ma anche la squadra ha fatto quadrato nei confronti del suo mister. Una simbiosi che ha fatto storia.
L’Italia pareggiò 0 a 0 contro i polacchi, 1 a 1 con il Perù e 1 a 1 con il Camerun. Alla fase successiva ci qualifichiamo per secondi (dietro alla Polonia) solo perché il Camerun segnò un gol in meno di noi. Italia qualificata alla seconda fase a gironi: Girone C con il Brasile di Zico e Falcao e con l’Argentina di Passarella e Maradona.
Nel frattempo in Italia iniziò una martellante critica contro il CT ed i suoi ragazzi. I giornali ci andarono pesanti e tutti pensarono che contro le due compagini sudamericane si sarebbe fatta una brutta figura e che si sarebbe tornati a casa subito. E l’obiettivo della critica era proprio Paolo Rossi, inadeguato per questa competizione visto che era abulico dal gioco. Bearzot si accollò tutte le colpe di un’eventuale eliminazione ma obbligò i suoi giocatori a non parlare con i giornalisti, salvo Zoff perché era capitano ma era nota la poca loquacità del portiere della Juventus.
Tutti pessimisti, tutti contro Bearzot…e invece la piccola Italia sconfiaawe, ed eliminò, l’Argentina ed il Brasile per 2 a 1 e 3 a 2. Due partite passate alla storia del nostro calcio grazie alle strategie di Beazot: cambi tattici azzeccati e, soprattutto, la “garra” di Paolo Rossi. Eh si, il tanto vituperato attaccante toscano, reo di essere in Spagna al posto di Pruzzo, ha eliminato da solo il Brasile con una fantastica tripletta. E pensare che la squadra di Telê Santana era la candidata numero 1 alla vittoria del Mondiale per la qualità della sua rosa. La partita contro la Seleçao fu battezzata “il miracolo del Sarriá”.
Gli azzurri arrivarono in semifinale dove eliminarono anche la Polonia ancora grazie al “figlioccio” di Bearzot, Paolo Rossi: altre due reti del numero 20 di Prato e Italia in finale.
L’ultimo atto fu il “Bernabeu”, avversaria la Germania Ovest del CT Jupp Derwall con in campo i vari Briegel, Breitner, Rummenigge e anche quella volta fu l’Italia a vincere. Nonostante il rigore di Cabrini sbagliato al minuto 25 del primo tempo sullo 0 a 0, la ripresa è stata tutta azzurra: Rossi, Tardelli e Altobelli con una prova maiuscola da parte di tutta la squadra annichilirono gli avversari. La Germania Ovest accorciò all’83’ con Breitner, ma dopo il breve recupero ci fu il mitico gesto dell’arbitro brasiliano Coelho che prese la palla tra le mani, la alzò al cielo e fischiò la fine della partita.
Paolo Rossi divenne il primo calciatore azzurro a vincere la classifica marcatori (e a fine anno vinse anche il Pallone d’oro), mentre il tecnico friulano si tolse tante soddisfazioni e rimandò al mittente le critiche che avevano accompagnato la spedizione italiana in terra iberica.
La ricetta usata da Bearzot per vincere il titolo? Caparbietà, grinta, coraggio e tanta fiducia verso i propri uomini. E per il “vecio” non contava solo la tecnica, ma la “garra” e l’affiatamento tra i membri del suo gruppo: Zoff fu rigenerato, Scirea divenne il più forte centrale di difesa del Mundial, Tardelli fu il padrone del centrocampo e l’emblema di quel torneo (il suo urlo dopo il gol del 2 a 0 alla Germania è ancora oggi mitico), Conti sulla fascia era stato imprendibile per tutti, Oriali e Collovati furono molto ispirati e in attacco la scommessa Rossi fu vinta.
I giornalisti italiani acclamarono Bearzot (salendo sul carro dei vincitori) ed il tecnico friulano fu “riabilitato” da tutti: da incapace a mago del pallone in poche settimane.
Bearzot peccò un po’ di presunzione dopo la vittoria, puntando nei successivi quattro anni sugli stessi giocatori e facendo ancora convocazioni sui generis, anche al poco ricambio generazionale di quegli anni. Dopo l’eliminazione contro la Francia, il “vecio” decise di dimettersi ed il suo posto fu preso dall’allora tecnico della Under21, il romagnolo Azeglio Vicini.
Uscito dal giro, dal 2002 al 2005 Bearzot è stato presidente del settore tecnico della Federazione per poi ritirarsi a vita privata. Morì a Milano il 21 dicembre 2010 all’età di 83 anni, lo stesso giorno (ma quarantadue anni dopo) il suo predecessore sul tetto del Mondo, Vittorio Pozzo.
Dopo essere stato nominato commendatore nel 1982 e venti anni dopo proposto come senatore a vita, dal 2011 il nome di Bearzot è entrato nella “hall of fame” del calcio italiano e alla sua memoria è stato intitolato il premio assegnato al miglior allenatore della stagione calcistica.
Ne ha fatta di strada quel signore pacato, silenzioso e con la pipa perennemente in bocca: dagli albori da calciatore nella Pro Gorizia fino alla vittoria in Spagna, passando per il mondiale argentino, la “zona mista” e tutte quelle polemiche che hanno fatto grande la sua Italia.
In questo calcio 2.0 uno come Bearzot mancherebbe come il pane anche se sarebbe un pesce fuor d’acqua. E infatti dopo l’addio alla Nazionale, nonostante avesse 59 anni, decise di non fare più l’allenatore, decidendo di guardare il mondo del calcio dal di fuori, lontano da tutti in quanto non si sentiva coinvolto.
Meglio ricordarlo allora sul volo di ritorno da Madrid nella celebre partita a scopone scientifico in squadra con Causio contro Zoff ed il Presidente Pertini: sigaro in bocca, giacca bianca ed in mezzo al tavolo quella Coppa che nessuno avrebbe mai pensato potesse tornare in Italia.