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Football Legend Dino Zoff

Il numero 1 della Juve e della Nazionale protagonista da giocatore e da allenatore

Quando si è bambini e si gioca a calcio all’oratorio o al parco c’è un dogma da seguire pedissequamente: il più scarso va in porta. Di solito il portiere “da oratorio” è quello più scarso, magari con gli occhiali e con qualche chilo di troppo, mentre i più bravi (o presunti tali visto che possono arringarsi il potere di far giocare chi e dove) giocano sempre in attacco. Sempre e non si sa per quale motivo.

Presumibilmente Dino Zoff all’oratorio, o al parco in porta ci andava di sua spontanea volontà. E ne aveva ben donde: il portiere friulano è considerato tra i migliori portieri della storia del calcio mondiale. O meglio, lo è stato almeno fino a quando è salito alla ribalta Gianluigi Buffon, erede designato del mitico Dino.

Friulano della provincia di Gorizia, Zoff è stato uno dei miti del nostro calcio nonché una garanzia per chi lo avesse avuto come estremo difensore in squadra, visto che la sua caratteristica era il senso della posizione ed era difficile segnargli.

DA PORTIERE DI PROVINCIA ALLA JUVENTUS

Il giovane Dino aveva un sogno: fare il portiere. Il portiere, un ruolo fuori dagli schemi, un ruolo per matti dove tutti in campo possono sbagliare meno che lui, perché se sbaglia un attaccante segnerà un altro giocatore, ma se sbaglia il portiere è gol. Ma Zoff voleva diventare un portiere e grazie alla fatica e alla dedizione riuscì nell’intento, con l’aggiunta di parlare pochissimo e di fare tanti fatti.

Dopo il debutto nella squadra del suo paese, Zoff passò nella squadra più forte della regione Friuli, l’Udinese. Era il 1961, aveva diciannove anni, rispetto al passato il suo fisico si era “alzato” e rinforzato ed il 24 settembre iniziò la sua carriera da professionista contro la Fiorentina allo stadio “Comunale” (futuro “Franchi”): debutto amaro, raccogliendo cinque palle in rete. La squadra retrocesse, ma in cadetteria Zoff fu il portiere titolare della squadra. Furono stagioni turbolente per Zoff che subì molte critiche da parte dei tifosi e lui, uomo (allora ragazzo) tutto d’un pezzo salutò Udine e si accasò al Mantova, ancora in provincia. In maglia udinese giocò quattro partite in A e trentacinque in B.

I virgiliani staccarono per lui un assegno da 30 milioni di lire e difese la loro porta per quattro stagioni, disputando 134 partite e subendo centosedici reti. Era il Mantova che fino a pochi anni fa era il “piccolo Brasile”, una piazza tranquilla dove fare buon calcio senza pressioni e dove lavorare in pace. Con la maglia dei lombardi, Zoff si fece conoscere ed apprezzare da tutti per la sua precisione e la sua freddezza. Nel mentre, poté giocare le prime partite con la Selezione Under23 guidata da Enzo Bearzot e anche lì si fece notare per la sua maturità e bravura. Era chiaro che il suo destino sarebbe stato in una grande squadra.

E il Napoli, nonostante un primo interessamento del Milan, si accaparrò il suo cartellino: 120 milioni (più la cessione di Bandoni) per il vice- di Riccardo Albertosi in Nazionale. Con il sodalizio del presidente Gioacchino Lauro (figlio del celeberrimo Achille), Zoff conobbe il brivido della parola “scudetto”, visto che durante la prima stagione (la 1967/1968) il club campano si classificò al secondo posto (migliore piazzamento fino a quel momento della squadra) a nove punti dal Milan. Rimase a Napoli fino al 1972 conquistando anche terzo posto e perdendo la finale di Coppa Italia nella sua ultima stagione contro il Napoli.

E la prima stagione alle pendici del Vesuvio porta in dote a Zoff non solo la convocazione per l’Europeo casalingo del 1968 ma anche la vittoria di questo con lo stesso Zoff portiere titolare.

Zoff rimase a Napoli fino al termine della stagione 1971/1972, venendo convocato anche per il Mondiale messicano del 1970, che però vide tutto dalla panchina.

Con il Napoli stabilì due record tutt’oggi imbattuti a quelle latitudini: 143 partite consecutive (24 settembre 1967-12 marzo 1972) e record di imbattibilità di 590′ (stagione 1970/1971).

Il rapporto con la città fu particolare: lui uomo del profondo nord, serio, preciso ed introverso si trovò a suo agio in una piazza calda ed estroversa come quella della città di san Gennaro. Era un bel Napoli quello che ebbe Zoff come portiere in cinque stagioni: da Altafini a Sivori, da “Totonno” Juliano a Barison, da Guarnieri a Cané a Hamrin. Ma era giunta l’ora di cambiare aria.

ZOFF E LA JUVENTUS, UNDICI ANNI DI SUCCESSI E DI STORIA

Nell’estate 1972 ci fu il clamoroso trasferimento di Zoff alla corte della Juventus, da un anno con Boniperti presidente, per 330 milioni più altri due giocatori.

Gli anni in bianconero sono stati undici e sono stati quelli della consacrazione definitiva di Zoff, che a trent’anni sembrava troppo vecchio per fare il portiere e che invece si ritirò solo al termine della stagione 1982/1983.

Fu celebrato uno dei più celebri “matrimoni” più solidi della storia del calcio di quei tempi: undici stagioni, sei scudetti, due Coppa Italia e una Coppa Uefa, il primo trofeo conquistato dalla Vecchia signora in Europa. Nel carniere anche due sconfitte in finale di Coppa dei Campioni nel 1973 e nel 1983: se nella prima nulla poté contro l’Ajax di Cruijff, Rep. Krol e Neeskens, sulla sua coscienza pesa il gol da oltre venti metri di Magath ad Atene che diede all’Amburgo una vittoria su cui nessuno avrebbe mai scommesso.

La sua seconda stagione juventina lo vide piazzarsi al secondo posto per il Pallone d’oro 1973, classificandosi secondo dietro a Cruijff: era dai tempi di Jascin che un estremo difensore non andava così vicino alla vittoria dell’ambito premio individuale europeo. Ed era il 1963.

In bianconero stabilì altri due record: 903′ minuti di imbattibilità già alla sua prima stagione (migliorando il record precedente di da Pozzo del Genoa, che durava da nove anni, di 111 minuti) e l’avere disputato 330 partite consecutive con la maglia della Juventus (332 in totale aggiunte le ultime due partite con il Napoli prima di passare in bianconero), non lasciando praticamente spazio ai suoi vice- Piloni, Alessandrelli e Bodini. Se questo record è ancora imbattuto in casa Juve, il record di imbattibilità in generale durò fino alla stagione 1993/1994 quando Sebastiano Rossi del Milan portò il record a 929′, a sua volta superato da Gigi Buffon l’11 marzo 2016, portandolo a 974 minuti.

La luna di miele con la Juventus meritò anche l’affetto dei tifosi bianconeri che vedevano nel loro numero 1 un portiere strepitoso e sicuro, quasi come un attaccante aggiunto. Era la super-difesa Juventina che avrebbe poi fatto sfracelli anche in Nazionale: se la Grande Inter aveva la cantilena “Sartiburgnichfacchetti”, in casa Juventus l’omologo fu “Zoffcabrinigentilescirea”.

Il 15 giugno 1974, durante la prima partita del girone del Mondiale tedesco, contro Haiti, l’attaccante caraibico Emmanuel Sanoninterruppe il record di imbattibilità di Zoff in Nazionale che durava da 1142 minuti, vale a a dire dal 20 settembre 1972, record mai più superato.

Gli anni bianconeri sono stati anche il suo apice con la maglia azzurra: quarto posto in Argentina nel 1978, quarto posto nell’Europeo italiano del 1980 e, soprattutto, la vittoria della Coppa del Mondo in Spagna nel 1982, con Zoff che a 42 anni, da capitano, è stato capace di alzare quel trofeo che all’Italia mancava da quarantaquattro anni (e nove edizioni). Mai nessun altro giocatore avrebbe vinto la Coppa del Mondo più vecchio di lui e nessun altro giocatore italiano ha vinto sia l’Europeo che il Mondiale.

Capitano dal 1977, Zoff era stato molto criticato dopo aver subito gol banali in Argentina e si diceva che fosse sul viale del tramonto, ma invece lui, uomo dedito al lavoro, si mise sotto e nella partita della seconda fase eliminatoria contro il Brasile in Spagna, sul 3 a 2, compì un vero miracolo parando quasi allo scadere, parando sulla linea di porta un tiro che altrimenti sarebbe andato in gol, portando la partita ai supplementari.

Zoff si ritirò dalla Nazionale al termine dell’amara partita contro la Svezia del 29 maggio 1983: vittoria scandinava per 2 a 0, Zoff colpevole delle reti e Italia non qualificata per l’Europeo francese dell’anno dopo. Quattro giorni prima (il 25) decise di ritirarsi da calciatore dopo l’amarissima sconfitta di Atene.

Il portierone azzurro chiuse con 112 caps in Nazionale (la prima partita, contro la Bulgaria, il 20 aprile 1968, a Napoli) e il suo primato fu superato nel tempo da Paolo Maldini, Fabio Cannavaro e Andrea Pirlo. E per 59 partite è stato capitano, quinto di sempre.

Ritiratosi, rimase alla Juventus in qualità di preparatore dei portieri, ma dopo due stagioni si dimise e fu chiamato dalla Federazione per diventare il CT della Nazionale olimpica: giustamente uno che è stato un grande giocatore era scontato che diventasse allenatore.

I SUCCESSI DA ALLENATORE ED IL FANTASTICO EUROPEO BELGA-OLANDESE

Zoff portò gli azzurrini a qualificarsi per Seul ’88, ma non guidò la spedizione azzurra in quanto fu chiamato ancora dalla Juventus nella veste di allenatore della prima squadra. Zoff si portò come vice- l’amico fraterno Gaetano Scirea: l’esperienza dell’ex difensore juventino durò pochissimi mesi, visto che morì in un incidente stradale in Polonia dove era andato ad osservare l’avversario di turno della Juventus.

Zoff rimase a Torino due stagioni (1988-1990) e con la squadra bianconera ottenne due quarti posti consecutivi, ma nel 1990 fece il double Coppa Italia-Coppa Uefa sconfiggendo il Milan e la Fiorentina nel primo derby italiano in una finale europea. Zoff fu il primo allenatore a vincere la Coppa Uefa sia da giocatore che da allenatore .

Ma quella era una Juventus lontana parente (come organizzazione) di quella di Trapattoni e nell’estate 1990 Zoff non venne confermato ma rimpiazzato da Gigi Maifredi.

Ma uno come Zoff, vincente in campo come in panchina, non poté rimanere disoccupato e accettò subito la proposta della Lazio diGianmarco Calleri. Zoff rimase tecnico dei biancocelesti fino al termine della stagione 1993/1994. I primi due anni portò la squadra ad un undicesimo ed un decimo posto, mentre la terza stagione portò la compagine capitolina a classificarsi al quinto posto, portandola a disputare le coppe europee dopo quindici anni. Nella terza invece si classificò al quarto.

Il tecnico di Mariano del Friuli legò il suo nome alla Lazio diventandone anche presidente tra il 1994 ed il 1998, con i laziali guidati dal patron Cragnotti: arrivò anche il primo trofeo nazionale, la Coppa Italia nel 1998, sconfiggendo in finale il Milan, portando il trofeo nella bacheca laziale a distanza di trent’anni dal precedente. Zoff legò il suo nome alla squadra, tornandovi in panchina in due momenti distinti: nel 1997, al posto di Zeman, e nel 2001 quando subentrò a Sven-Göran Eriksson. I due cambi in corsa per la squadra romana furono importanti e la squadra chiuse prima al quarto e poi al terzo posto finale.

Prima di tornare alla Lazio, Zoff fu per due stagioni allenatore della Nazionale al posto di Cesare Maldini. Il biennio 1998-2000 fu fruttifero per gli azzurri che non solo si qualificarono per l’Europeo 2000 organizzato congiuntamente da Paesi Bassi e Belgio, ma, dopo otto edizioni, l’Italia arrivò in finale eliminando in semifinale, ai rigori, i padroni di casa oranje (con Toldo che parò due rigori nei tempi regolamentari e altri due nella lotteria finale, con un terzo calciato fuori). All’ultimo atto affrontarono i campioni del Mondo in carica della Francia e anche quella fu una partita epica: vantaggio di del Vecchio, pareggio francese di Wiltord al 90′. Trezeguet segnò, nei supplementari, il secondo golden gol della storia di una finale, dando la coppa alla Francia per la seconda volta nella storia.

Nonostante la cocente sconfitta, l’Italia di Zoff venne apprezzata ugualmente tranne che da Silvio Berlusconi. L’ex Presidente del Consiglio ebbe parole al vetriolo per Zoff per come aveva impostato la partita e la “gabbia” su Zidane. Il tecnico azzurro, uomo freddo e di poche parole, non ci stette ed in una conferenza stampa, il 4 luglio 2000, diede le dimissioni da Commissario tecnico.

Nel 2001, come detto, tornò alla Lazio e vi rimase fino a settembre, quando, dopo un brutto avvio di campionato (tre pareggi in quattro partite) e 0 punti in due partite nella fase a gironi di Champions, venne esonerato.

Rimase inattivo fino al gennaio 2005 quando fu chiamato a risollevare le sorti di una Fiorentina in crisi di risultati e di morale, nonostante il ritorno in Serie A e una rosa nel complesso di qualità, Il tecnico friulano riuscì a salvarla con un sedicesimo posto finale e grazie alla classifica avulsa favorevole rispetto a Parma e Bologna, poi retrocesso.

L’anno prima Zoff vinse un premio molto importante, il Golden Foot, il premio indetto dalla Uefa in occasione del suo cinquantesimo anniversario per celebrare il più forte giocatore nazionale di ogni Federazione affiliata negli ultimi cinquant’anni. Con quel premio Zoff fu pari con gente del calibro di Johan Cruijff, Hristo Stoičkov, Alfredo Di Stéfano, Ferenc Puskás, Fritz Walter e Bobby Moore, solo per fare qualche nome. Nel 2012 entrò nella Hall of Fame del calcio italiano.

COSA RIMANE OGGI DI DINO ZOFF

Oggi siamo abituati a vedere portieri molto risoluti e tecnici: Buffon a Cech, da Casillas a Neuer, fino ai giovani Courtois e Ten Stegen. Mai nessuno sarà come Dino Zoff: un portiere affidabile, freddo, calmo, ben piazzato e con le mani che si incollavano alla palla e viceversa (non esistevano, ai suoi tempi, i guanti da portiere) e sempre concentrato. Anche se non era una saetta e non era spettacolare.

Zoff fa parte di quella generazione di giocatori che non ci saranno più e chi proverà ad imitarlo sarà soltanto un clone. Non è mai stato spettacolare, ma è stato concreto, non volava da un palo all’altro, si sporcava molto poco, ma aveva delle mani come calamite.

Uomo e calciatore serio, amato da tutti per sobrietà e flemma, è idolatrato e considerato un esempio per chi vuole intraprendere il ruolo più difficile di tutti, quello del portiere. Alla faccia di chi manda in porta i meno bravi a giocare, non conscio che il ruolo del portiere è fondamentale.

Oggi Zoff è un uomo di 74 anni e lo scorso anno ha avuto seri problemi di salute, ricoverato per un disturbo neurovegetativo: tutto il mondo calcistico italiano (e non), si strinse intorno a SuperDino, dimostrandogli ancora affetto.

Del resto, quando si è stati campioni dentro e (soprattutto) fuori il campo, non si può che essere ricordati a vita.

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