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Football Legend Diego Alberto Milito

Il principe Diego Alberto Milito

Per gli amanti del calcio nostalgico anni degli Ottanta, il numero 22 è sempre stato quello assegnato al terzo portiere. Nell’epoca dei numeri da 1 a 11, era quasi impossibile vederlo scendere in campo.

Eppure in questo calcio moderno, con maglie tecnologiche e maglie con il numero fino al 99 e i cognomi dietro, il numero 22 è stato usato da molti giocatori. Ma solo uno ha portato il numero 22 nello stesso anno solare in cima all’Italia, all’Europa e al Mondo: Diego Alberto Milito, detto il “principe” per la sua somiglianza con il campione uruguaiano Enzo Francescoli.

Argentino di Bernal, Milito è stato uno di quei calciatori che hanno scritto la storia del calcio mondiale nei primi anni Dieci del Duemila. Attaccante veloce, intelligente tatticamente e con un fiuto del gol importante, deve la sua notorietà ai successi conquistati con l’Inter nel pazzo 2010 nerazzurro, con la squadra meneghina in sette mesi capace di vincere scudetto, Coppa Italia, Champions League e Mondiale per Club. Non era arrivata la Supercoppa europea andata all’Atletico Madrid, ma nessun’altra squadra italiana ha mai più fatto il triplete. Per il resto ancora oggi Diego Milito è un mito per i tifosi di Racing Club Avellaneda, Genoa e Inter. Del resto per un giocatore mai sopra le righe come lui che ha messo sempre davanti a sé la palla (in tutti i sensi) non può che essere un idolo per tifoserie diverse tra loro.

La carriera di Diego Milito è andata (quasi) di pari passo con il fratello Gabriel, di un anno più giovane (il “principe” è del 1979, Gaby del 1980) giocando entrambi nelle due squadre di calcio di Avellaneda, il Racing Club e l’Independiente. Queste due squadre sono state tra le più forti del Mondo tra gli anni Sessanta e Settanta, vincendo tre Coppe Intercontinentali ed altre quattro volte (tutte i biancorossi) la finale. Ma il Racing, dove giocava Diego, delle due squadre è quella più sfortunata perché dopo la Copa Libertadores e la Coppa Intercontinentale del 1967, non ha vinto più nulla, retrocedendo anche in Segunda division nella prima metà degli anni Ottanta.

Milito debuttò in prima squadra nel 1999 e due anni dopo trascinò il club biancoceleste a vincere il torneo di apertura a distanza di trentacinque anni dal precedente, datato 1966. Quel Racing, allenato da Reinaldo Merlo, pose fine alla leggenda della “sfortuna dei sette gatti neri” messa in atto da alcuni tifosi dell’Independiente al termine di quella stagione che vide i biancocelesti vincere il loro ultimo titolo nazionale. E anche grazie a Milito, il Racing tornò a vincere un trofeo.

Vestì la casacca de L’Academia fino al dicembre 2004 quando fece la cosa più naturale per un giocatore argentino: andare a giocare in Italia, terra, come oltre 1/3 degli argentini, dei suoi avi. Ad accaparrarsi il 24enne Diego non fu un top club, ma una squadra che militava allora in Serie B e che era in cadetteria da nove stagioni consecutive: il Genoa. Il motivo della cessione dell’attaccante a gennaio fu dovuta non solo all’apertura del mercato invernale ma anche alla chiusura del torneo di “Apertura” in Argentina.

Milito, con la maglia numero 9 sulle spalle, fu devastante in quei sei mesi, entrando nel tabellino marcatori per dodici volte. La tifoseria genoana, una delle più passionali d’Italia, si innamorò di lui anche se in molti dubitavano che potesse fare bene in cadetteria. Si diceva che fosse lento e poco efficace: si sbagliarono non di grosso, ma di grossissimo.

La stagione successiva Milito fece ancora meglio: 39 partite e ventuno reti con il numero 9 di Bernal e chiuse la classifica marcatori al secondo posto. Peccato che il club rossoblu incappò in un illecito sportivo e il Grifone passò in poche settimane dalla massima serie (dove avrebbe riaffrontato la Sampdoria) all’allora Serie C1. Il Genoa dovette smantellare la squadra e Milito fu prestato per due stagioni in Liga, al Real Saragozza, dove già giocava il fratello Gabriel. L’attaccante argentino passò in prestito biennale al club aragonese, ma la speranza era che un domani tornasse a rivestire il rossoblu genoano. Ebbe alcune offerte ma accettò quella del club allenato allora dal’ex Sampdoriano Víctor Muñoz.

Il “principe” fu il trascinatore di una squadra nel complesso discreta: 61 reti in 125 partite con la finale persa di Copa del Rey del 2005/2006 eliminando in successione Atletico Madrid, Barcellona e Real in semifinale (con poker di Milito nel match di andata). La stagione successiva si classificò al secondo posto nel “Pichichi” dietro a van Nistelrooy e la squadra si classificò al sesto posto qualificandosi per la Coppa UEFA. I fratelli Milito si divisero al termine di quella stagione: Diego rimase ancora in Aragona mentre Gaby passò al Barcellona, dove rimase quattro stagioni vincendo moltissimo, diventando esacampeon nel 2009. Eppure fino a quel momento la carriera di Diego non era mai decollata: tanti gol, zeru tituli e undici presenze in Nazionale, con il fratello da tempo nell’orbita della Nazionale e convocato per il Mondiale tedesco del 2006. Per la prima volta i Milito brothers giocarono insieme dopo essere stati rivali quando militarono con Racing ed Indipendiente contemporaneamente.

Il prestito biennale finì e il club spagnolo acquistò l’intero cartellino di Diego Milito in quanto il giocatore era stato la marcia in più di un equipo che era una squadra da metà classifica con alcune partecipazioni alle coppe europee.

Eppure nell’estate 2008 successe qualcosa di impensabile, sopratutto per i tifosi del Genoa: il ritorno di Diego Milito in rossoblu. Enrico Preziosi sfruttò il fatto che il Real Saragozza retrocesse amaramente in Segunda division dopo una stagione deludente e pazzesca. La leggenda narra che Militò tornò a vestire genoano grazie al fatto che l’entourage del Grifone lanciò (nel vero senso della parola) all’ultimo secondo del calciomercato estivo il contratto stipulato con l’attaccante classe 1979. Per tornare al “Ferraris” rifiutò di giocare a “White Hart Lane”, il tempio del Tottenham.

Nella stagione 2008/2009 Milito è un attaccante fatto e finito, ma il Genoa è lontanissimo parente di quello in cui militò tra il gennaio 2004 e l’estate 2005: un tecnico preparato come Giampiero Gasperini in panchina, giocatori di buona lena come Juric, Sculli, Thiago Motta, Jankovic e Criscito ed una piazza affamata.

La stagione fu fantastica: vittoria nel derby di andata e ritorno con ben cinque reti di Milito (gol vittoria all’andata, tripletta nel 3 a 1 al ritorno), quarto posto in campionato a pari punti con la Fiorentina, ma che per la differenza reti negli scontri diretti spinge il Grifone in Europa League dopo diciassette stagioni. Milito fece il record di marcature in campionato per un giocatore del Genoa, arrivando secondo nella classifica marcatori dietro Ibrahimovic.

Eppure la permanenza nella capoluogo ligure di Milito fu breve: la stagione successiva passò, per 25 milioni, all’Inter. Moratti strappò al Grifone anche Thiago Motta, altro pilastro di quel Genoa dei miracoli.

Milito eroe del triplete

Il resto è storia: Inter campione d’Italia, Inter vincitrice della Coppa Italia, Inter vincitrice della Champions League. Un triplete conquistato in una maniera imprevista ma che ebbe un unico filo conduttore: i gol di Diego Milito. Eh si, perché il numero 22 nerazzurro segnò i gol decisivi in campionato (il 16 maggio contro il Siena, all’ultima giornata); Coppa nazionale (il 5 maggio contro la Roma, sfatando il vae diei del club meneghino) e nella finale del “Bernabeu” contro il Bayern Monaco la fantastica sera del 22 maggio 2010.

E proprio la finale di Madrid è storica: a distanza di trentotto anni dall’ultima finale giocata (31 maggio 1972 contro l’Ajax) e quarantacinque da quella vinta (il 27 maggio 1965 e l’avversario era il Benfica), la Beneamata tornava sul tetto d’Europa. Il merito di quella vittoria è di una squadra perfetta e forte in ogni reparto. Con un Diego Milito in condizione mundial: gol al minuto 34 e 70 e Inter vincitrice della coppa. Doppietta come fece Mazzola nel 3 a1 al Real Madrid il 27 maggio 1964 al “Prater” di Vienna.

I tifosi interisti presenti al “Bernabeu” assistettero alla gara perfetta e da casa i milioni di tifosi nerazzurri si riversarono nelle piazze e nella strade a manifestare la loro gioia.

Quella stagione, che tutti i tifosi nerazzurri ricordano ancora oggi partita dopo partita, fu un qualcosa di irripetibile e tutto assemblato per il meglio, in panchina lo Special one José Mourinho e in tribuna Massimo Moratti, anche lui campione d’Europa come il padre Angelo quarantacinque anni prima.

Milito quella stagione segnò ben trenta reti tra campionato e coppe e quella è stata la sua stagione più prolifica. Con la parentesi della convocazione per il Mondiale sudafricano da parte del CT Maradona. Milito, in Sudafrica con la numero 19 (perché ai Mondiali il 22 è del terzo portiere), giocò novanta minuti scarsi (in due partite) nelle cinque giocate dall’Albiceleste (fu eliminata nei quarti dalla Germania ai calci di rigore). Peccato che nessun suo compagno di squadra avesse segnato e vinto quanto lui (Messi a parte, ovviamente) quell’anno. E la seconda beffa per il “principe” arrivò il novembre successivo, con la sua esclusione dai finalisti del Pallone d’oro, alla prima edizione griffato FIFA: trofeo a Messi, Sneijder (viceCampione del Mondo con l’Olanda) quarto, Eto’o dodicesimo, Maicon diciassettesimo e Julio Cesar diciannovesimo. Che beffa. E lo disse anche Alex Ferguson: Diego Alberto Milito doveva vincere il Pallone d’Oro FIFA 2010 o almeno entrare nella short list finale.

Nonostante la beffa del Pallone d’oro, a livello personale, Milito in quell’anno si aggiudicò l’UEFA Club Forward of the Year, l’UEFA Club Footballer of the Year e, nel nostro Paese, l’Oscar del Calcio come miglior giocatore straniero e miglior giocatore del campionato

La stagione successiva tornò in pista e divenne ancora decisivo per l’Inter, ma l’effetto triplete stava svanendo e la squadra nerazzurra si classificò nelle successive quattro stagioni seconda, sesta, nona e quinta, vincendo tra l’agosto ed il dicembre 2010 la Supercoppa italiana e il Mondiale per club FIFA. Il miglior piazzamento in Champions furono i quarti l’anno successivo al triplete.

A parte la stagione 2011/2011, dove segnò 24 reti (ed un poker contro il Palermo), il “principe” fu bloccato da troppi infortuni e da una resa offensiva scarsa: tra un Inter lontana parente di quella super del triplete e due brutti infortuni consecutivi (rottura del crociato e stiramento) gli faranno giocare solo diciotto partite totali con due reti. Il 18 maggio 2014 giocò la sua ultima partita in nerazzurro, contro il Chievo. Per inciso, quel match vide anche l’addio contemporaneo di Zanetti e Cambiasso.

E nell’estate 2014 decise di salutare la sua amata Inter e l’Italia per fare ritorno, a 35 anni, in Argentina. La sua nuova squadra non poteva che essere il “suo” Racing Club. Del resto non aveva mai nascosto di voler chiudere la carriera con la maglia biancoceleste.

E con la L’Academia, nel dicembre 2014, vinse il campionato nazionale. Ironia della sorte: Milito trascinatore nel 2001 dopo 35 anni di attesa, Milito ancora una volta trascinatore dopo altri tredici anni di attesa.

E lo scorso 12 novembre ha deciso di dire basta con il calcio con un’amichevole con molti suoi ex compagni argentini dell’Inter in un “Cilindro” infuocato che salutò uno dei suoi prodotti più fulgidi, artefice dei mitici “scudetti” del 2001 e del 2014. L’incasso del match è stato devoluto, per sua volontà, al Racing Club stesso per migliorare le strutture del settore giovanile della società.

Milito è stato più di un giocatore fondamentale per quella pazza Inter “vinci-tutto” del 2010: talismano, feticcio ed un giocatore con grande tecnica sia con i piedi che di testa.

Il “principe” ha avuto la “sfortuna” di diventare un Giocatore con la G maiuscola solo a 31 anni, un’età dove il calciatore-tipo inizia a toccare lo zenith della sua forma e della condizione, ma che può essere sovrastato da colleghi più giovani (leggasi ad esempio Lionel Messi di otto anni più giovane e Cristiano Ronaldo nato nel 1985…).

Eppure questo giocatore, nato in una famiglia di calciatori e di amanti di questo sport, è riuscito a fare breccia nel cuore di ben tre squadre diverse, con tre palmares diversi, con tre tifoserie diverse e con obiettivi diversi durante la stagione regolare. Una cosa non da pochi, ma solo da campionissimi.

Campionissimo dentro e fuori il campo Diego Milito è stato un mostro di velocità, precisione ed un condensato di sangue freddo che contraddistingue il comune calciatore dal Calciatore con la C maiuscola. E per capire il vero Milito basta guardare le due reti con cui ha ridato all’Inter la Champions League: fiuto del gol e progressione sfruttando l’errore dell’avversario in area.

Questo è stato Diego Alberto Milito, il “principe” di Bernal. Un moderno eroe dei due Mondi…calcistici.

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