Andrea Pirlo, il Maestro
“Nulla è eterno e solo poche cose sono durevoli”, diceva Seneca. E questo sentimento di tristezza lo hanno provato gli amanti del calcio lo scorso 8 ottobre quando Andrea Pirlo aveva annunciato che avrebbe posto fine alla sua ultra ventennale carriera con la fine della stagione della Major League Soccer. La notizia era nell’aria, ma spiaceva sempre sapere che uno dei più forti giocatori del Mondo avrebbe deciso di dire addio al calcio a breve giro di posta. La sua ultima partita l’ha giocata domenica tra i suoi New York City e Colombus Crew, con la squadra dell’Ohio che è volata in finale di Eastern Conference, il “gruppo della costa orientale”.
Questa settimana, il consueto spazio settimanale “Football Legend” è dedicato a lui, al “Maestro” del calcio italiano, Andrea Pirlo.
Pirlo da Flero, Brescia, ha scritto le pagine più belle del nostro calcio tra le sei squadre in cui ha militato e nelle Nazionali di cui ha vestito l’azzurro. Si ritira un altro eroe della magica notte del 9 luglio 2006, ma soprattutto lascia il calcio giocato il “maestro”, quello che aveva i piedi magici, quello con la visione di gioco senza eguali, quello che metteva la palla dove voleva e non vi era modo che sbagliasse.
La storia calcistica di Andrea Pirlo prese il via nella squadra del suo paese, per poi spostarsi verso la città, Brescia, la Leonessa d’Italia, nella squadra delle “rondinelle”. Il giocatore fece il suo debutto in Serie A il 21 maggio 1995, a 16 anni e due gironi, giocando uno scampolo di partita contro la Reggiana, diventando il più giovane giocatore del Brescia di sempre a giocare in massima serie. Il Brescia retrocesse, ma in B Pirlo fece vedere che era un predestinato, come aveva lasciato presagire sin dal settore giovanile.
Nell’estate 1998 Pirlo passò all’Inter. Che squadra: Ronaldo, Zamorano, Zanetti, Simeone e Roberto Baggio. Pirlo ha sempre avuto un idolo e mai avrebbe pensato un giorno di giocare in squadra con il suo idolo: Roberto Baggio. Dopo un pre-campionato impressionante, la sua stagione non decollò e a fine stagione passò alla Reggina in prestito.
Dalla provincia alla provincia, passando per la metropoli. In riva allo stretto, Pirlo fece una stagione clamorosa: 30 partite, sei reti e dodicesimo posto in classifica per il club calabrese. Le architravi del successo amaranto furono lui, il suo conterraneo Roberto Baronio ed il compagno interista “Momo” Kallon. A Reggio Calabria, Pirlo fece il trequartista puro e iniziò a prendere maggiore confidenza con i calci di punizione.
Pirlo tornò alla base e Marcello Lippi credette molto in lui. Ma niente, Pirlo non riusciva ad essere lui e il rapporto con il sostituto di Lippi, Marco Tardelli, non fu per nulla ottimale Nel gennaio 2001, l’Inter lo mandò ancora in prestito e lo spedì a Brescia, come dire: vediamo se a casa tua torni ad essere quello per cui abbiamo speso 4 miliardi.
E quelli furono sei mesi importanti e tutto grazie a Mazzone e al feeling con Baggio. Il tecnico trasteverino ebbe un’idea: spostare Pirlo da dietro agli attaccanti a davanti alla difesa e mettendo al suo posto il “Divin codino”. Ma come, Pirlo da ispiratore a ripartitore di azioni? Sì ed i sei mesi bresciani furono il trampolino di lancio della sua carriera. E l’accoppiata Pirlo-Baggio portò il Brescia al settimo posto in classifica a fine stagione: mai la squadra lombarda era arrivata così in alto, mai più da allora toccò un risultato del genere.
Per 35 miliardi di lire, nell’estate 2001, il Milan portò l’allora 22enne Pirlo in una squadra piena di campioni: da Maldini a Costacurta, da Shevchenko ad Albertini, da Rui Costa ad Ambrosini. In un contesto del genere, Pirlo poteva e doveva esplodere.
E invece no, anche in rossonero qualcosa non funzionò all’inizio. Altra delusione? Si, ma la buona notizia era dietro l’angolo. Anzi, era in infermeria: gli infortuni di Gattuso e Ambrosini fecero fare un azzardo a Ancelotti, ovvero far fare a Pirlo…il Pirlo di Brescia. E con il modulo “ad albero di Natale”, Pirlo da trequartista dal roseo futuro si trasformò in un regista di centrocampista conclamato e ammirato.
Nel 2003 fu tra i protagonisti (in positivo) della vittoria ai rigori della Champions “italiana” contro la Juventus mentre due anni dopo fu tra i protagonisti (in negativo) della sconfitta del Milan nella stessa manifestazione, sbagliando il suo rigore contro il Liverpool. Coppa ai Reds che fecero una remuntada epica e Pirlo che a fine partita paventò addirittura un ritiro dal calcio per la tremenda batosta presa.
Ma Pirlo si rimboccò le maniche e rimase al Milan fino all’estate 2011, con Leonardo e Allegri allenatori. Poteva andare al Chelsea con Ancelotti, il Milan si oppose fermamente.
Cn Ancelotti, Pirlo divenne un giocatore fondamentale, preciso nei passaggi e con un’intelligenza di gioco rara. Non a caso, i suoi anni milanisti furono i migliori, sia personalmente che calcisticamente. Ma qualcosa si ruppe e la presenza in panchina di Massimo Allegri non fece vedere il miglior Pirlo in campo. Al termine della stagione 2010/2011, Pirlo andò in scadenza e il Milan non gli rinnovò il contratto. Le strade si divisero: in dieci stagioni il fantasista di Flro giocò 401 partite, segnando 41 gol e conquistò due titoli nazionali, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana, due Champions League, un Mondiale per Club e due Supercoppe europee. Senza contare che era un abitudinario della classifica del Pallone d’oro, piazzandosi al quinto posto nell’edizione 2007, primo italiano in classifica in quell’edizione.
Ad aggiudicarsi Andrea Pirlo a zero euro (sottolineiamo, a zero euro) fu la Juventus del nuovo mister Antonio Conte, ingaggiato dalla Vecchia Signora per farla tornare competitiva in Italia ed in Europa dopo le vicissitudini di “Calciopoli”. Pirlo, a 32 anni, fu il fiore all’occhiello di una campagna acquisti che vide approdare nel nuovo “Juventus Stadium” anche Lichtsteiner e l’ex romanista Vucinic, oltre ad una serie di giocatori già presenti in rosa che volevano far tornare grande la Juventus (da Buffon a Chiellini, da Bonucci a Barzagli a capitan del Piero, alla sua ultima stagione in bianconero).
Tra la Juventus e Pirlo fu amore a prima vista, sopratutto tra i tifosi: quattro stagioni, quattro scudetti consecutivi, una Coppa Italia, due Supercoppe italiane e la finale di Champions League di Berlino persa contro il Barcellona. Con la Juventus, Pirlo sembrò ringiovanito di almeno dieci anni: punizioni letali, fantasia allo stadio puro, la palla tra i suoi piedi andava poi sui piedi dei suoi compagni preciso come una giocata alla Play Station. E nonostante l’arrivo del “nemico” Allegri sulla panchina di Conte, Pirlo giocò sempre del bel calcio. Il calcio di punizione, durante gli anni bianconeri, toccò l’apice con la creazione della “maledetta”, un tiro ad effetto che dopo un’iniziale salita scendeva vertiginosamente, lasciando immobile il portiere avversario di turno.
Gli anni bianconeri furono migliori (in proporzione) rispetto quelli milanisti: era diventato ancora più maturo e più decisivo. E per questo c’è da pensare al suo gran gol di destro nel derby vinto il 30 novembre 2014 contro il Torino al 93′. Eppure la sera del 6 giugno 2015, il numero 21 bianconero vide sfumare la Champions e le sue lacrime in diretta fecero il giro del Mondo: Pirlo era noto per l’imperturbabilità del suo sguardo. Si era chiuso un ciclo per lui, proprio nello stadio dove nove anni prima era stato tra i protagonisti del Mondiale.
Unica gioia di Champions per lui a Torino fu la standing ovation che gli tributarono i tifosi del Real al Bernabeu il 24 ottobre 2013 alla sua uscita dal campo: a oggi, hanno ricevuto questo “trattamento” nella casa del Real Madrid solo del Piero, Totti, Ronaldinho e Iniesta.
Molte squadre bussarono alla sua porta, ma capì che il suo tempo in Italia ed in Europa era finito e decise di fare armi e bagagli e partire alla volta degli Stati Uniti d’America, fermata Major League Soccer, la massima serie calcistica americana. “Ma come, un giocatore del calibro di Pirlo che andava a svernare in un campionato di basso profilo?”. Sì, ma quando ti chiami “Andrea Pirlo” e ti fanno ponti d’oro per averti si prova anche l’avventura yankee. Ad ingaggiarlo furono i New York City Football Club, succursale a stelle e strisce del Manchester City nata dall’unione di intenti con i New York Yankees di baseball. Con lui giocarono anche due giocatori che in Europa avevano fatto cose importanti, David Villa e Frank Lampard.
Con i NYFC, Pirlo giocò solo sessantuno partite, segnando una sola rete. I suoi tre campionati negli States furono molto deludenti, anche a causa di una forma fisica non perfetta. Non scattò mai il feeling con compagni, tifosi e tattica. Poteva rimanere ancora in Italia? Forse.
E dopo tre stagioni, la parola “basta”: la sua ultima partita Andrea Pirlo l’ha giocata domenica contro i Columbus Crew, guidati in attacco dal fratello maggiore di Gonzalo Higuain, Federico. La sconfitta contro la squadra dell’Ohio è stata l’ultima partita di uno dei giocatori più forti del Mondo di questi anni Duemila, uno nato a decine di migliaia di chilometri della Grande Mela ma che ovunque è andato a giocare si è portato dietro la sua “piccola mela”, Flero: il grande Andrea Pirlo.
Ma se Pirlo è stato fantastico con le squadre di club, è con la Nazionale che è diventato un giocatore universale. Con la maglia numero 21, Pirlo è stato tra i protagonisti del fantastico Mondiale 2006, nominato tra i migliori undici giocatori della manifestazione. Quattro “gesti” di Pirlo rimarranno nella storia del calcio italiano a Germania 2006: il gol contro il Ghana nel match inaugurale, l’assist al bacio no look per Grosso contro la Germania, il suo rigore vincente nella lotteria della finale e la sua corsa ad abbracciare Grosso dopo l’ultimo rigore calciato. Vedere Pirlo esprimere gioia non era una cosa da tutti i giorni.
E sei anni dopo, nello sfortunato europeo ucraino-polacco, Pirlo è stato tra i protagonisti assoluti, sopratutto nei quarti contro l’Inghilterra. Il motivo? Il 24 giugno 2012 fece impazzire di gioia i tifosi italiani con il “cucchiaio” con cui ha superato Hart. L’anno successivo Pirlo vinse il bronzo con l’Italia nella Confederations Cup brasiliana.
In Nazionale Pirlo ha giocato complessivamente 116 partite, segnando tredici reti: a oggi è il quarto giocatore con più presenze, dopo Buffon, Cannavaro, Paolo Maldini e Daniele de Rossi, con il giocatore della Roma pronto a superarlo in classifica durante i play off contro la Svezia.
Dal 25 maggio 2002, nessun altro giocatore Under 21 lo ha ancora superato come presenze (37) e reti segnate (tredici). Numeri da vero campione, unico ed inimitabile.
Pensare oggi ad Andrea Pirlo vengono in mente i calci di punizione, di cui è uno dei massimi interpreti e realizzatore. I suoi maestri sono stati Roberto Baggio e Juninho Pernambucano, ma anche lui ci ha messo del suo con l’invenzione della “maledetta”.
Il calcio italiano ora è un po’ povero e la kermesse mondiale del prossimo anno perderà uno dei maggiori interpreti del concetto di “regista di centrocampo”.
In Italia e in Europa si parla da tempo di trovare un nuovo Pirlo: si è parlato di Verratti, ma il giocatore del Paris Saint Germain non sembra avere il suo passo. Forte, attento, fantasioso ma di Andrea Pirlo ce n’è stato uno solo.
Pirlo è uno di quei giocatori che mancano come il pane ad ogni squadra. Non solo come professionalità, ma anche dal punto di vista umano: mai una parola fuori luogo e fuori posto. “The sound of silence” cantavano nel 1965 Simon&Garfunkel, “Andrea Pirlo il Maestro” si dice negli anni Duemila. E i motivi sono molteplici: dribbling, possesso palla, intelligenza tattica, piedi perfetti, punizioni “maledette”, un ispiratore, un giocatore di scacchi prestato al calcio.
I tifosi e gli appassionati di calcio posso urlare la loro gioia: grazie Andrea che dopo Istanbul non ti sei ritirato. ci saremmo persi giocate clamorose. Tipo l’assist verticale di venti metri al “delle Alpi” per Baggio in Juventus-Brescia del 1 aprile 2001. Roba per palati fini. Roba da…”maestri”.