Alvaro Recoba il giocatore forse più amato da Moratti e dai tifosi nerazzurri
Nel 1992 usciva la celeberrima cover “I will always love you” di Dolly Parton reinterpretata da Whitney Houston. Questa canzone è stata la colonna sonora del film “Guardia del corpo” interpretato dalla stessa Houston e Kevin Costner. Era la storia d’amore fra una cantante affermata ed il suo bodyguard. “Io ti amerò per sempre”: frase tipica che si dicono due innamorati.
Non sappiamo se Massimo Moratti sia intonato o meno, ma sicuramente molti immaginano che l’ex presidente dell’Inter questa canzone l’abbia cantata molte volte al suo giocatore preferito. Nei sedici anni totali di presidenza morattiana, molti sono stati i giocatori che hanno vestito la maglia della Beneamata, eppure ce n’è stato uno per cui davvero Moratti si esposto, un giocatore per il quale lo stesso petroliere ha fatto (e non è una battuta) carte false, un giocatore che gli ha fatto perdere la testa. Un giocatore che ha scritto una pagina importante di calcio dalle parti di Appiano Gentile senza vincere molto, ma che è entrato nella mente dei tifosi come quello che “poteva essere ma non è stato”: Alvaro Recoba. All’attaccante uruguaiano è dedicato il nostro spazio “Football Legend” di questa settimana.
Partiamo con un inciso: Recoba, rispetto ai suoi colleghi “Legend” non ha molto a cui spartire. La sua carriera è stata lampante sotto questo punto di vista, eppure è stato uno che è entrato nel cuore di tutti i tifosi, interisti e non, anche per una sorta di equivoco: essere stato il cocco di Moratti pur sapendo di essere uno nettamente più scarso del giocatore interista più forte di quel periodo, Luis Nazario da Lima detto Ronaldo. Ma al cuore non si comanda mai e Massimo Moratti si è preso a cuore la vita (calcistica) di Recoba, rendendolo una sorta di strapagato feticcio.
La nostra storia parte da Montevideo, capitale dell’Uruguay, terra baciata dal sole e pazza per il calcio. Recoba vi nacque nel 1976 e allora il calcio locale (ieri come oggi) era una cosa tra Peñarol e Nacional, le due squadre più forti della capitale e capaci di vincere, fino a quel momento, tre delle loro complessive sei Coppe Intercontinentali.
Vi era un’altra squadra della capitale che, nel suo piccolo, si arrabattava per stare al passo con le grandi: il Danubio. In quella squadra si fece notare, nel 1993, un ragazzino di 17 anni dagli spiccati tratti somatici orientali che con il piede sinistro faceva cose fuori dal normale. Quel ragazzino era Alvaro Recoba e rimase tre stagioni con la squadra bianconera, un sodalizio che in tutta la sua storia aveva vinto un titolo nazionale raggiungendo poi la semifinale di Copa Libertadores nel 1989 . Nel 1995 Recoba accettò l’offeta del Nacional di mister Miguel Pupo, spinto dal fatto di trovare il suo spazio vitale in uno dei due top team del suo Paese.
In due stagioni con i Tricolores, Alvaro Recoba mise a segno trenta reti, entrando anche nel giro della Nazionale. Una selezione, la Celeste, che non disputava il Mondiale dall’edizione italiana del 1990 ma che in Copa America disse la sua, tra il 1989 ed il 1997, vincendo due volte il torneo ed arrivando seconda in un’occasione.
Recoba con il Nacional si fece notare per la rapidità dei movimenti, la potenza e la precisione dei tiri e il dribbling. Una cosa tipica sudamericana, una cosa che in tutto il Mondo si fa ma che solo da quelle parti diventa un qualcosa di diverso, un’altra cosa.
Recoba segnava, ispirava e si impose come uno dei talenti più fulgidi del panorama calcistico del suo Paese e cosa succede a chi è forte da quelle parti? Un bel biglietto aereo e via verso l’Europa. Aveva due alternative fornitegli dal suo agente, il potente Paco Casal, Recoba: Juventus o Inter. In bianconero, Paolo Montero a parte, nessun uruguaiano aveva sfondato, mentre con la Beneamata si era consacrato il suo idolo di infanzia, Ruben Sosa. Quindi, tutti in nerazzurro. E nacque la seconda vita di Alvaro Recoba: nell’estate 1997 l’Inter sborsò 48 miliardi per acquistare dal Barcellona Ronaldo. I due giocatori erano coetanei, ma il brasiliano era il Fenomeno, mentre Recoba era solo il Chino.
Pagato allora 7 miliardi, Moratti se ne innamorò sin da subito. I tifosi ci misero un po’ a capire il loro nuovo numero 20, ma bastò loro vedere due partite per iniziare a viaggiare con la fantasia: il match inaugurale del campionato contro il Brescia e la rete contro l’Empoli del 25 gennaio 1998. Nel primo caso, Recoba regalò i due punti contro le “rondinelle”, segnando due reti in sei minuti (80′ e 86′) entrando a partita in corso (72′), dando i primi tre punti alla sua squadra (la rete del pareggio fu un missile da 25 metri di sinistro, la rete della vittoria fu una punizione al bacio da 40 metri sempre sinistro), nel secondo caso il gol fu strepitoso: pallonetto dalla parte sinistra del centrocampo, gol. Una parabola di cinquanta metri che il portiere dei toscani Roccati non poté fare nulla. La Serie A aveva due fenomeni, entrambi nella stessa squadra, coetanei e con tocchi da veri sudamericani: : Ronaldo e Recoba. Si diceva fosse un predestinato, Alvaro Recoba: non si erano sbagliati. La storia calcistica dei due giocatori prese fin da subito un percorso diverso.
Nel primo anno di Inter, Recoba giocò otto partite di campionato, chiuso dagli attaccanti atomici nerazzurri, ma segnò tre reti in appena 271 minuti giocati. L’Inter chiuse la stagione al secondo posto ed in quella successiva mister Simoni cercò di dare più spazio a Recoba: cinque partite nel girone di andata, Simoni esonerato in favore di Lucescu e la volontà di entrambe le parti di trovare una squadra disposta a prendere in prestito, fino alla fine della stagione, il giovane Alvaro. Se lo aggiudicò il Venezia del focoso presidente Zamparini e di mister Novellino. Come andarono i sei mesi lagunari di Recoba? Fece più reti in quel breve periodo che in intere stagioni nerazzurre: undici marcature, Venezia decimo con gli scalpi di Roma, Fiorentina e Inter. Recoba aveva il “Penzo” ai propri piedi.
Qual era il segreto di quel Venezia? Lo strano modulo 9-1, con quell’”1” a rappresentare il solo Recoba con licenza di fare quello che voleva secondo le indicazioni di Novellino.
A luglio il Chino tornò in nerazzurro pronto a diventare ancora protagonista. Peccato che anche la nuova stagione non lo vide protagonista, ma a Moratti questo interessava poco: a lui bastava che Recoba giocasse e lo illuminasse. Moratti lo attese ed aumentò ancora il suo amore nei suoi confronti. Un amore viscerale verso un giocatore che in campo faceva vedere cose da campione, ma che non aveva per nulla voglia di allenarsi. Eh sì Recoba è stato croce e delizia di allenatori e compagni, interisti e non solo. Univa una tecnica clamorosa ad una svogliatezza estrema, segnando gol belli in circostanze inutili contro piccole squadre, faticando il meno possibile in allenamento e svolgendo il “compitino” per novanta minuti in campo. E, senza fare nulla di che, Recoba, tra il 2001 ed il 2003, fu il giocatore più pagato al Mondo. Al Mondo, uno che si allenava controvoglia e che in quel lasso di tempo segnò complessivamente 23 reti, era il giocatore più pagato di tutti. Il rinnovo multimilionario di Recoba è stato un vero capriccio di Moratti: se non avesse rinnovato, sarebbe andato in scadenza e quindi via dall’Inter a parametro zero. Il presidente non poteva perdere il suo gioiello e cosa fece? Rinnovo da 14 miliardi di lire. Oggi in pochi al Mondo prendono quella cifra mentre allora lui era il più pagato di tutti. Quattordici miliardi per un pigro, un incompiuto, uno con poca flemma ma che se si impegnava tirava fuori dal cilindro non un coniglio, ma un allevamento. E non a caso era considerato anche dagli stessi compagni come il più forte di tutti. Peccato fosse una scommessa riuscita a metà.
Recoba rimase all’Inter dal 1999 all’estate 2007, congedandosi con una rete contro l’Empoli direttamente da calcio d’angolo, il cosiddetto “gol olimpico” come lo chiamano nel suo Paese. Prese l’A4 in direzione Torino per indossare, per una sola stagione, la maglia del Toro. Anche in granata i risultati furono scadenti: una sola rete (decisiva) contro il Palermo per il pareggio e altre due in Coppa Italia contro la Roma. Era in prestito, schiavo del suo contratto faraonico.
Finita la stagione, Alvaro Recoba salutò l’Italia. Andato via lui, l’Inter nei successivi tre anni vinse il vincibile. Sfortuna o segno del destino? Difficile da dirsi, fatto sta che nell’estate 2008 Alvaro Recoba salutò l’Italia e andò nella poco mondana città greca di Nea Smyrnī per giocare con il Panionios, una squadra abbastanza quotata del calcio ellenico. Ma anche lì, Recoba non fece bene, rescisse e dopo diciotto mesi prese un altro biglietto aereo ma questa volta con destinazione Montevideo: Danubio.
L’arrivo nella “sua” Montevideo fu da divo hollywoodiano: Recoba era stato profeta in Patria, nonostante anche lì sapevano che fosse un pigro. I tifosi uruguaiani alla fine erano peggiori di quanto fosse stato Moratti, ma a gratis: Recoba non si tocca e non si discute ma si ama.
Recoba ripartì da dove aveva iniziato, vale a dire nel club che lo aveva visto muovere i primi passi da calciatore. Dopo una stagione e mezza tornò al “suo” Nacional dove militò ancora quattro stagioni per poi chiudere la carriera il 14 giugno 2015, mentre il suo addio al calcio avvenne il 31 marzo 2016 al Gran Parque Central, teatro da sempre degli incontri casalinghi del Nacional.
Fin qui abbiamo parlato del “Football”. Ora passiamo al “Legend”.
In questo spazio abbiamo parlato di vere leggende del calcio del passato, gente che ha scritto la storia di questo sport. Anche Recoba poteva scrivere il suo nome nella hall of fame del calcio mondiale, ma non ha voluto non perché non ne abbia avuto le facoltà, ma perché non si impegnato come avrebbe dovuto fare. Non a caso, quando si parla di Recoba, si sorride pensando a quanti soldi abbia buttato Moratti per lui, della sua indolenza, della sua tecnica sudamericana unita ad una svogliatezza nell’impegnarsi che lo ha reso uno dei giocatori più insopportabilio. Recoba poteva essere, ma non è stato. Perché uno che segna gol belli (perché i gol del Chino sono stati belli), non può che essere un campione e visto che si considera da sempre i mancini nel calcio come dei predestinati, fa male ripensando alla discontinuità professionale di Recoba.
Un genio o uno bluff Alvaro Recoba, talmente svogliato da prendere un tavolo durante gli allenamenti e sedersi per riposarsi mentre i compagni correvano. In un’intervista disse che lui non è che non volesse allenarsi, ma che non gli piaceva farlo.
Recoba è stato il classico studente cui la maestra dice alla madre “non si applica, ma se si applicasse sarebbe il migliore della classe”. Gli interessava fare il “compito”, prendersi il 6 in pagella, fare il gol ed entrare nel cuore dei tifosi.
Alvaro è stato uno semplice: zero vita notturna, zero gossip (è sposato con la fidanzatina delle medie, figlia di un guru del calcio uruguaiano) forse perché troppo faticoso. Perennemente distratto, geniale, mai banale. Un esempio da seguire e non seguire: seguire perché i suoi tiri di sinistro erano oggetto di studiare, non seguire per la sua vida…poco loca.
Se per strada si fermano ancora oggi i tifosi dell’Inter che vissero l’epopea Recoba (10 stagioni e mezzo alla Pinetina in ventitre stagioni complessive giocate da pro, 45% del totale), nessuno parlerà male di lui: idolo senza se e senza. Anche se si contano su una mano le partite dove è stato decisivo. Ma tant’è: i (pochi) gol segnati in nerazzurro sono visti e rivisti su YouTube.
Se per l’Avvocato Agnelli Alessandro del Piero è stato un Godot, anche per i tifosi dell’Inter Recoba è stato una sorta di Godot: uno che poteva scrivere a lettere cubitali il suo nome nella storia del club, uno che doveva arrivare prima o poi a scrivere il suo nome nella storia del calcio. Un mancino dal sorriso irresistibile, la capigliatura fermata da una fascia e quel sinistro che per i Moratti è sinonimo di perdizione dei sensi: per Angelo Mariolino Corso, per Massimo Alvaro Recoba.
All’uruguaiano piacevano fino ad un certo punto le attenzioni di Moratti, tanto che nel 2000, al termine dello spareggio Champions contro il Parma vinto dall’Inter grazie ad un Baggio in formato mundial, Recoba, neanche schierato in campo da Lippi, sbottò dicendo che era stufo di giocare solo “nel giardino di Moratti”: uno sfogo dovuto al fatto che fino a quel momento lui non era visto da nessun tecnico se non dal solo Moratti.
Ma alla fine, cosa è stato Alvaro Recoba? Un incompiuto, un predestinato che non ce l’ha fatta, un bluff, un campione? Tutto e il contrario di tutto. Una carriera a metà tra l’incanto e l’indolenza. Con la consapevolezza di aver avuto più chance che gol fatti. Con la certezza di aver avuto un piede sinistro che ha fatto invidia a tutti e che ha fatto innamorare tutti: chiedere conferma a Gaston Pereiro, talento classe 1995 del calcio celeste, cresciuto a pane e Recoba tanto da tatuarsi il volto del giocatore (nonché ex compagno) sul suo avambraccio destro dopo aver vinto il Clasico contro il Penarol nel 2014 o al Presidente dello stesso Nacional, Eduardo Ache, che voleva erigergli una statua per quanto è stato un grande.
Con l’hype che aveva, Alvaro Recoba è stato uno dei tanti ragazzi che hanno scelto come professione quella del calciatore. Il lavoro che tutti gli amanti del calcio vorrebbero “svolgere” da grandi. Un lavoro che comporta sacrificio e dedizione, ma che lo stesso Chino ha fatto di entrambe un solo fascio e lo ha lavorato a metà. Forse meno.
Però che giocate, che tiri, che punizioni. Proprio il testimonial adatto per lo spot “se si fosse impegnato di più”. Solo che in caso contrario non staremmo parlando di Alvaro Recoba, quello che usava il destro solo per camminare e usava il sinistro per incantare. Il “pigro e romantico” come lo chiamava la moglie. Il che è tutto dire ma dal quale non si poteva pretendere la luna visto che aveva come hobby la pesca, sport tipico di chi sta seduto e in silenzio in attesa che abbocchi la preda.
E poi quella condizione di aver giocato in una sorta di limbo, tra l’essere un fenomeno ed un giocatore sopravvalutato. Perché un conto è segnare gol impossibili, un conto è vedersi parato da uno sconosciuto portiere svedese (Andersson) di una altrettanto sconosciuta formazione svedese (l’Helsingborgs) il rigore che avrebbe messo in carreggiata, al minuto 90, nei preliminari di Champions l’Inter.
Questa è stata la storia di Alvaro “el pigro dies” Recoba, cresciuto imitando Francescoli e Ruben Sosa e diventato poi l’idolo di Luis Suarez. Eppure quando uno segna da distanze siderali o direttamente da calcio d’angolo (contro l’Empoli, il 29 aprile 2007) o dopo una ruleta (contro l’Atalanta, il 22 settembre 2004), non può che essere una leggenda del calcio. Perché nella storia del calcio in molti hanno segnato come e quanto Recoba, ma di Chino ce ne è stato uno solo.
Sennò povero Moratti avrebbe dovuto rovinarsi per pagare un altro Recoba 2. Magari canticchiando, un’ultima volta , “I will always love you”.