Football Legend Agostino Di Bartolomei

Si dice che il calciatore sia un privilegiato, uno che fa un lavoro che piacerebbe a tutti ma che solo in pochissimi riescono a svolgere. Si dice che il calciatore viva nel lusso, si dice sia ricco, che sia un mercenario e che giochi per i soldi, circondato da donne che se facesse un altro mestiere neanche gli si avvicinerebbero.

Molte di queste affermazioni sono vere e altre sono frutto dell’invidia. Fatto ‘sta che il calciatore è prima di tutto un uomo e, come tale, ha i suoi alti e bassi, le sue vittorie e le sue sconfitte. Anche a livello personale. Ed essendo uomini, anche loro posso avere delle difficoltà. Alcuni le superano, altri no. Agostino di Bartolomei rientra nel secondo novero.

Capitano dello storico scudetto della Roma del 1983, “Ago” è morto il 30 maggio 1994 a Castellabate, nel Salernitano. Si è tolto la vita a dieci anni esatti dalla sconfitta della “sua” Roma nella finale di Coppa dei Campioni dell'”Olimpico” contro il Liverpool. Una coincidenza tragica, ma forse ponderata dallo stesso ex centrocampista di Tor Marancia, periferia sud della capitale.

Quella mattina lasciò un biglietto in cui spiegava alla moglie Marisa e a suo figlio il motivo del suo gesto, un investimento andato a male, i soldi che mancavano e quel “tunnel” di cui non vedeva la fine, nonostante i suoi sforzi per rendere felice la famiglia.

Si pensò che poté contribuire al suicidio anche il fatto che il mondo in cui militò per diciotto stagioni, il calcio, dopo il suo addio gli aveva chiuso tutte le porte dopo le “coccole” ricevute quando giocava. Aveva appena 39 anni.

Finì nella maniera più terribile di tutte la vita di un uomo, e dopo di un calciatore, schivo, riservato, tutto casa e famiglia e che aveva legato la sua vita atletica alla Roma.

Centrocampista centrale con impostazione da mediano, era un giocatore tecnico, poco veloce ma con buon senso della posizione e il vizio del gol.

Di Bartolomei giocò come tutti nei campi di periferia, ma il suo talento non passò inosservato e a 18 anni, nell’aprile 1973 esordì con la maglia della Roma. Rimase con i giallorossi per tre anni e nella stagione 1975/1976 fu mandato a farsi le ossa nell’allora Lanerossi Vicenza, in Serie B: di Bartolomei, nonostante la giovane età, riuscì a racimolare 29 presenze con la Lupa e l’esperienza vicentina fu altrettanto positiva, tanto da segnare anche quattro reti.

Dopo il prestito tornò alla Roma e lasciò il giallorosso solo nel giugno 1984, al termine della stagione post scudetto e pochi giorni dopo la sconfitta ai rigori contro i Reds. Di Bartolomei fu chiamato a calciare il primo rigore, che segnò.

Tra il 1984 e il 1988 giocò con Milan e Cesena, in Serie A, e anche con i lombardi e con i cesenati si fece apprezzare per l’impegno e la risolutezza in campo.

Chiuse la carriera con la maglia della Salernitana, nell’allora Serie C1, al termine della stagione 1989/1990 dopo due stagioni in cui si contraddistinse per un buon numero di reti. E anche in Campania si fece ben volere dalla tifoseria e fu uno degli artefici del ritorno in Serie B dei granata dopo 24 anni.

Ma il nome “Agostino di Bartolomei” è legato indissolubilmente a quello della Roma, con cui vinse tre scudetti (due Primavera e quello in Serie A), ma anche tre Coppe Italia. Tutte alzate con la fascia di capitano al braccio.

Con i giallorossi disputò 308 partite, segnando anche 67 reti fra campionato e coppe, non poche per un centrocampista che fu impiegato anche come difensore centrale. E i tifosi lo amavano per il rispetto verso gli avversari e gli arbitri, il fatto di rappresentare un città intera che dopo 41 anni di attesa si era presa quello scudetto che sembrava non arrivare mai. Era la Roma di mister Nils Liedholm, di Franco Tancredi, Pietro Vierchowod, Aldo Maldera, Herbert Prohaska, Sebastiano Nela, Paulo Roberto Falcão, Roberto Pruzzo, Carlo Ancelotti, Bruno Conti, Odoacre Chierico e, soprattutto, capitan Agostino di Bartolomei.

E proprio l’idolo della Sud dopo l’arrivo di Sven-Göran Eriksson salutò tutti e andò dal suo “barone”. Era il Milan post ritorno in Serie A, quindi un Milan che si arrabattava in campionato e che aveva perso la finale di Coppa Italia. Quando arrivò Berlusconi rimase sotto al Madunina fino al termine della stagione per poi andare a giocare in provincia, a Cesena e a Salerno. Sia a Cesena che a Salerno era il capitano indiscusso.

Dopo il suo ritiro, divenne allenatore, aprì una scuola calcio a Castellabate ma si sentì abbandonato da quel mondo cui aveva regalato sudore, sofferenze, vittorie e gloria: il mondo del calcio lo aveva dimenticato, gettato via. Agostino di Bartolomei si era alzato tante volte e aveva continuato a lottare, finché gli fu possibile, per poi togliersi la vita. Un gesto che, generalmente, è considerato da vigliacchi ma che l’ex capitano della “maggica” si pensa abbia scelto come extrema ratio. E forse il suo carattere razionale, semplice e schivo ha contribuito a fargli schiacciare il grilletto della sua pistola quella mattina del 30 maggio 1994.

Quel giorno i tifosi romanisti si sentirono morire dentro e tutto il mondo calcistico si chiese cosa mai aveva potuto spingere un calciatore, il privilegiato che fa un lavoro che tutti vorrebbero fare, a compiere un gesto del genere. E invece lo ha fatto e ha salutato tutti a soli 39 anni.

In sua memoria è stato girato un documentario, libri e ogni anno, il 30 maggio, molti tifosi romanisti alzano la testa al cielo e cercano di vedere il loro capitano correre, inseguire l’avversario ed ad uscire dal campo con la maglia sudata della Lupa. E magari che alza sotto il cielo di un Olimpico e di una città in festa quella maledetta Coppa dei Campioni.