Trapattoni, l’allenatore dei record
Sono tre anni (e poco più di un mese) che Giovanni Trapattoni non allena più. La sua ultima panchina fu contro l’Austria da Commissario tecnico dalla Nazionale della Repubblica d’Irlanda: era il 10 settembre 2013 e Alaba condannò alla sconfitta. e poi all’esclusione dei Boys in Green, dal Mondiale brasiliano. Lo scorso 17 marzo il Trap ha soffiato su 77 candeline.
Domanda: ma in questo calcio, ci sarebbe ancora spazio per uno come Giovanni Trapattoni? Risposta (unica ed inequivocabile): uno che ha vinto tutto manca sempre nel gioco del calcio, anche se il suo modo di intenderlo è lontano anni luce dai vari tiki taka, falsi nueve e 4-3-3 attuali. Eh si, perché il Trap da Cusano Milanino è stato uno dei massimi esponenti del cosiddetto “contropiede all’italiana”: super difesa con difensori arcigni e, alla prima occasione, super ri-partenze con contropiedi (appunto) efficaci e palla in rete.
Trapattoni e le coppe, un connubio perfetto
Con questo schema, mai amato da chi ama la tattica sopraffina, Trapattoni ha vinto tutto quello che si poteva vincere: tutte le coppe europee con la Juventus, lo “scudetto dei record” con l’Inter durante l’era del Milan di Sacchi, le vittorie nei campionati di Germania, Portogallo e Austria, la scelta di allenare in provincia a Cagliari, Firenze, Stoccarda e poi per cinque stagioni andare ad allenare un’altra Nazionale dopo la parentesi sfortunata con l’Italia, quella “verde” dell’Eire. E pensare che la sua prima”ufficiale” fu sulla panchina del Milan nello sciagurato Verona-Milan 5 a 3 del 20 maggio 1973, la “fatal Verona” e niente decimo scudetto per il Diavolo.
Dopo aver fatto l’allenatore, per un periodo è stato commentatore tecnico della Nazionale per la Rai (non piacendo per nulla), ma non sarebbe male vederlo ancora oggi in giacca e cravatta a bordo campo a gesticolare dando la grinta necessaria ai suoi giocatori con il suo mitico “fischio”, un vero marchio di fabbrica.
E poi come non dimenticare le sue interviste in un italiano sui generis, la famosa conferenza sullo scarso impegno profuso da Strunz, Basler e Scholl (in un tedesco altrettanto sui generis) quando allenava il Bayer Monaco o l’acqua santa datagli dalla sorella-suora Romilde gettata per terra nel Mondiale nippo-coreano prima dell’inizio delle partite.
Con il tecnico italiano più vincente e più conosciuto nella storia del calcio (dieci titoli nazionali, cinque coppe e supercoppe nazionali. sette titoli continentali), la nostalgia di un calcio che fu tocca il suo zenith e ci fa scendere qualche lacrima pensando a cosa è stato il calcio italiano durante gli anni trapattoniani.
Giuan il predestinato: leader in campo e leader in panchina
Ed uno che era un leader in campo, non poteva che fare il mister. La sua prima squadra fu il “suo” Milan: sulla panchina rossonera perse tre finali europee in due stagioni, ma il destino volle che la sua carriera prendesse il volo 160 chilometri più a ovest: Trapattoni con la Vecchia signora divenne leggenda, come la sua squadra.
Dopo le dieci stagioni bianconere (cui vanno aggiunte altre tre stagioni tra il 1991 ed il 1994 poco effervescenti), ecco gli anni interisti con la vittoria del titolo nel 1989 che mancava dalle parti del Biscione da nove anni. Da lì in poi è stato un peregrinare di panchine: Bayern Monaco (tre stagioni non consecutive), Cagliari (dove fu anche ultimo in classifica, lui che spesso è stato al comando della classifica), Fiorentina (scudetto sfiorato), Benfica (titolo dopo undici anni di attesa per le “aquile”), Stoccarda (esonero) e Red Bull Salisburgo, con l’intermezzo dei quattro anni poco fortunati con l’Italia e i cinque anni irlandesi. Doveva andare al Mondiale tedesco del 2006, ma un gol dopo un clamoroso fallo di mano glielo hanno impedito. Doveva andare ad allenare gli “elefanti” della Costa d’Avorio, non se ne fece nulla, come sedersi sulla panchina della Grecia.
L’immaginario collettivo lega Giovanni Trapattoni al fischio. E quanto manca quel fischio, il suo “fischio” a bordo campo.