Finisce l’avventura di Sarri alla Lazio
Con le dimissioni di oggi si chiude l’avventura di Maurizio Sarri sulla panchina della Lazio. Un’avventura che poteva tracciare i contorni di una favola e si è invece spenta tra polemiche, critiche e veleni, senza vinti ne vincitori, ma solo sconfitti.
Sconfitto il tecnico, che in tre stagioni non è riuscito a portare nemmeno un trofeo in bacheca; sconfitto il presidente che non è stato in grado prima di fornirgli un materiale umano all’altezza degli impegni, e poi di difenderlo realmente nei confronti della squadra e dell’ambiente, lasciandolo sempre solo nei momenti cruciali della sua permanenza romana.
Sconfitti i calciatori, che in campo non hanno mostrato di essere dalla sua parte, inanellando prestazioni incolori, prive di nerbo e determinazione; sconfitti i tifosi, che prima lo hanno fortemente voluto, poi hanno sposato il suo credo calcistico sperando che potesse condurli su vette inconsuete ed inesplorate, e poi ne hanno tristemente sottolineato, anche fischiandolo, la rapida quanto rovinosa e annunciata caduta.
Nessuna sorpresa ma solo la conclusione di una crisi annunciata
Si perché il termine della parentesi sarriana in quel di Formello era già scritta, a caratteri belli chiari, grossi e tondi, sin dalla conclusione della scorsa stagione, trionfalmente chiusa con un secondo posto storico e ritorno in Champions League, ma inasprita dalla continua diatriba col direttore sportivo Tare, e conseguente allontanamento del dirigente ormai inviso alla piazza, innamorata del nuovo “vate”.
Tensione mai del tutto sopita e poi rimarcata dall’inizio di quella in corso, caratterizzato da un immobilismo sul mercato, condotto in prima persona ma tardivamente e non certo in maniera del tutto soddisfacente, dal presidente Lotito in persona.
E’ allora che Sarri ha fallito; è in quei giorni nel ritiro di Auronzo che si è decisa una stagione che al momento può definirsi fallimentare nonostante il buon cammino compiuto in Champions e una semifinale di Coppa Italia ancora da giocare e che teoricamente potrebbe rappresentare il “lasciapassare” per un’Europa altrimenti chimerica.
Sarri ha fallito ad agosto perché ha tradito il cardine portante sul quale si fondava la fiducia del popolo laziale nei suoi confronti: più che sui suoi schemi, sul suo modulo, sul suo integralismo tattico, sulla sua incessante ed instancabile applicazione in campo, i tifosi biancocelesti sin dall’annuncio del suo arrivo puntavano sulla sua presunta capacità d’imporsi di fronte alla società, sul suo essere “il garante” di un mondo Lazio da troppo tempo prigioniero di una situazione a volte paradossale.
Era allora, quando non vedeva arrivare nessuno dei giocatori da lui richiesti, che avrebbe dovuto fare un passo indietro o quantomeno esporsi in maniera più concreta ed evidente, mettendo il presidente di fronte alle sue responsabilità che ora gli sono ricadute inevitabilmente addosso, comprimendolo tra inconcepibili scelte tecnico-tattiche e una gestione delle risorse umane da brividi.
Come si può sperare infatti che un gruppo di calciatori ripetutamente additato come privo della necessaria “cilindrata mentale” per giocare a certi livelli, disconosciuto in quanto composto da terze e quarte scelte rispetto ai suoi voleri, possa nel momento del bisogno tenderti una mano per uscire dal tunnel di una crisi di gioco e risultati da incubo?
Dimettersi è un atto inusuale e coraggioso, che evidenzia la statura morale di un professionista serio, resosi conto che non esistevano più le condizioni per poter dare una mano alla Lazio di cui ha dichiarato più volte di essersi innamorato, se non allontanandosene; ma in questo caso ci pare comunque un gesto tardivo.
Lotito ora deve scegliere in fretta il nuovo allenatore
Ora la palla passa di nuovo, inevitabilmente, al presidente Lotito che dovrà scegliere in fretta un successore, temporaneo o stabile lo scopriremo strada facendo, e restaurare un ordine all’interno della società che non può continuare a reggersi esclusivamente su di lui, oberato da sempre più pressanti impegni politici, e sul direttore Fabiani, cercando soprattutto di non tradire, ancora una volta, le attese, le speranze e la fede di una tifoseria che questo “teatrino” finale proprio non lo meritava.