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Euro2016: Bentornata, Ungheria

Pallone

Martedì sera si sono concluse, con i play off, le partite di qualificazione al prossimo campionato europeo di calcio che si terrà in Francia dal 10 giugno al 10 luglio 2016. Si sono affrontate le terze classificate degli otto gironi, salvo la Turchia che ha staccato il pass per la Francia come migliore terza all’ultima giornata

Si sono affrontate Ungheria e Norvegia (lunedì 15 novembre), Irlanda e Bosnia Erzegovina (martedì 16 novembre) e mercoledì sera Danimarca Svezia e Slovenia e Ucraina: i magiari, l’Eire, l’Ucraina del Commissario tecnico Michail Fomenko e gli scandinavi gialloblu’ trascinati da un superbo Zlatan Ibrahimovic, completano il quadro delle qualificate. Prossimo step, il sorteggio dei sei gironi il prossimo 12 dicembre.

Le quattro partite, cui hanno fatto da corollario anche undici incontri amichevoli, si sono giocate a quattro giorni di distanza dagli attentati di Parigi che hanno insanguinato la capitale francese al teatro “Bataclan”; nei pressi dello Stade de France (dove si stava giocando Francia-Germania; all’incrocio tra rue Bichat e rue Alibert; all’incrocio tra rue Fontaine e rue Faubourg du Temple; in rue de Charonne ed in boulevard Voltaire, causando 136 morti e 352 feriti.

Ed il rischio attentati sta mettendo molta apprensione in Francia, visto che la prossima estate ospiterà per la terza volta (dopo le edizioni del 1960, la prima in assoluto del torneo, e del 1984) la manifestazione continentale più importante.

L’Europeo francese sarà il primo a 24 squadre (con ottavi di finale); quello con più squadre debuttanti (sei, a pari merito con l’edizione inglese del 1996) e quello che vedrà anche il ritorno della Nazionale che mancava da più edizioni, l’Ungheria. La Nazionale magiara manca dall’edizione belga del 1972. Una vita, ed una era calcistica, fa.

Il 12 novembre i ragazzi del CT tedesco Bernd Storck hanno battuto ad Oslo la Norvegia per 1 a 0 con il gol di László Kleinheisler, centrocampista classe 1994 in forza al Videoton e lunedì sera hanno concesso il bis, alla “Groupama Arena” di Budapest, agli scandinavi di Per-Mathias Høgmo per 2 a 1, con la rete di Tamás Priskin (attaccante dello Slovan Bratislava) e lo sfortunato autogol di Markus Henriksen, che a tre minuti dal termine ha anche siglato la rete del 2 a 1 finale.

La selezione magiara ha compiuto un vero miracolo, portando il Paese a disputare, dopo 29 anni di attesa, una manifestazione continentale: l’ultima volta fu il Campionato mondiale di Messico ’86, mentre dal Campionato europeo mancava, come detto, dalla quarta edizione.

In questi lunghi, oramai, trent’anni l’Ungheria è davvero uscita dall’elite calcistica. E pensare che fino alla metà degli anni Cinquanta, la sua Nazionale era una delle più forti del Mondo, tanto da disputare la finale mondiale nel 1938 (contro l’Italia) e nel 1954 (contro la Germania Ovest), perdendo entrambe le partite. Il palmares della Nazionale “tricolore” vede anche un terzo posto ad Euro ’64, una Coppa Internazionale (la “mamma” dell’odierno Europeo), tre medaglie d’oro olimpiche a Helsinki (1952), Tokio (1964) e Città del Messico (1968), con un argento ed un bronzo a Monaco ’72 e Roma ’60, diventando la Selezione olimpica con più medaglie della storia.

I tifosi, e gli amanti del calcio, che ora hanno i capelli bianchi legheranno il nome “Ungheria” alla celebre Aranycsapat, la Squadra d’oro allenata da Gusztáv Sebes capace di vincere ben trentadue partite consecutive tra il 4 giugno 1950 (0 a 2 alla Polonia) ed il 30 giugno 1954, giorno della semifinale mondiale in Svizzera, quando i magiari vinsero ai supplementari contro l’Uruguay campione iridato uscente. La striscia terminò quattro giorni dopo in finale, quando la Germania Ovest si impose per 3 a 2, alzando al cielo per la prima volta la Coppa Rimet. E pensare che al minuto 8 del primo tempo, gli ungheresi erano già sul 2 a 0 con le reti di Ferenc Puskás e Zoltán Czibor, ma alla fine la spuntarono i teutonici, nella partita che fu soprannominata il “miracolo di Berna”, in quanto per la Germania la vittoria fu un vero miracolo contro la squadra più forte di quegli anni, tanta da segnare ben 27 reti subendone dieci.

Leader di quella squadra era indubbiamente Ferenc Puskás, attaccante della Honvéd e diventato affermato a livello mondiale con il suo passaggio al Real Madrid nel 1958, rimanendovi per otto stagioni vincendo cinque Liga, una Coppa del Rey, tre Coppe dei Campioni ed una Coppa Intercontinentale. Nella finale della Coppa Campioni 1959/1960 mise a segno ben quattro reti, record da allora mai battuto. Puskas è il miglior marcatore della storia della Nazionale con 84 reti in ottantacinque partite e nel 2000 gli è stato assegnato il Golden Foot, il premio assegnato da ogni Federcalcio al proprio miglior calciatore di sempre, e l’anno dopo la sua morte, il celebre “Nepstadiu” fu intitolato all’attaccante di Budapest.

L’ossatura della squadra era costituita da giocatori della Honvéd di Budapest, i quali lasciarono sia il club che la Nazionale dopo la Rivoluzione ungherese (23 ottobre – 4 novembre 1956). In quella Nazionale giocarono gente del calibro di Nándor Hidegkuti, Gyula Grosics, Zoltán Czibor e Sándor Kocsis (capocannoniere in Svizzera con undici reti) sotto la sapiente guida di un maestro di calcio come Gusztáv Sebes, Commissario tecnico dal 1949 al 1957. Oltre ai successi appena citati, l’Ungheria batté per due volte consecutive la Nazionale dei Maestri inglesi, con due sonore vittorie a Wembley (6 a 3) il 25 novembre 1953 e l’anno successivo (il 23 maggio 1954) con un sonoro 7 a 1 al “Népstadion” di Budapest. L’Ungheria di quegli anni, se ci fosse stato l’attuale ranking FIFA, sarebbe stata al primo posto: il calcio danubiano consacrò una vera generazione di talenti.

Da allora però qualcosa si inceppò nel calcio ungherese: i migliori giocatori (Puskas in testa) fuggirono in Occidente a cercare ingaggi nei top team occidentali e da allora, a parte il Pallone d’oro vinto da Florian Albert nel 1967 (all’epoca giocatore del Ferencvaros), non ci furono mai più né risultati di rilievo né nessun calciatore magiaro degno di nota, salvo forse Lajos Detari che militò anche per quattro stagioni nella nostra Serie A nei primi anni Novanta. Anzi, l’Ungheria, nonostante un benessere politico-sociale negli anni Duemila, non ha mai avuto una squadra di club capace di fare strada in Europa. L’ultima squadra a lottare per un trofeo europeo fu il Videoton, squadra di Székesfehérvár, che arrivò in finale di Coppa UEFA nel 1984/1985, venendo sconfitto dal Real Madrid. Il resto è tutta roba tra gli anni Sessanta e Settanta: il Ferencváros è tuttora l’unico club ad aver vinto un trofeo europeo, la Coppa delle Fiere nel 1964/1965 e tre anni dopo perse ancora in finale contro il Leeds e nel 1975/1976 la finale di Coppa delle Coppe contro la Dinamo Kiev, diventando anche la prima squadra magiare a disputare la fase fase a gironi di Champions League, nel lontano 1995/1996 (la seconda, e per ora ultima, ad affacciarsi nei gironi fu il Debrecen nel 2009/2010). Altre squadre magiare con un passato glorioso in Europa furono l’MTK (finale persa di Coppa Coppe 1963/1964 contro lo Sporting Lisbona e due Coppa Mitropa in bacheca nel 1955 e nel 1963) e lo Ujpest (finale Coppa delle Fiere 1968/1969 contro il Newcastle, una semifinale di Coppa Campioni nel 1973/1974 contro il Bayern Monaco ed una di Coppa Coppe nel 1961/1962 contro la Fiorentina), la Honved si spinse solo fino ai quarti di Coppa delle Coppe nel 1965/1966 contro il Liverpool e di Coppa UEFA nel 1978/1979 contro il Duisburg.

A parte questo (e tre Mondiali giocati consecutivamente tra il 1978 ed il 1986), la Nazionale ungherese è uscita dai radar del calcio europeo e mondiale con una facilità disarmante. Hanno pesato nel complesso le vicende della Rivoluzione ungherese del 1956, dove il regime socialista represse le rivolte e pose fine alla propaganda legata al calcio, impedendo ai giocatori di superare la “cortina di ferro” cercando la consacrazione nelle grandi squadre occidentali, cancellando tutto ciò che era stato fatto fino a quel momento.

E mentre il calcio ungherese navigava nella mediocrità, si andavano ad affermare sport meno “nobili” come la pallanuoto maschile (nove ori, tre argenti, tre bronzi olimpici; tre mondiali e sei secondi posti; tredici volte campione d’Europa; tre Coppe del Mondo; due World League) pallamano maschile (un argento mondiale) e kayak (460 medaglie mondiali nello “sprint”)

La massima serie magiara, la Nemzeti Bajnokság I, è al numero 33 nel ranking Uefa, mentre la Nazionale, la Magyarok, è 33a in base all’ultimo ranking FIFA (dovrebbe entrare nelle top 30 nel prossimo). In Italia attualmente giocano solo quattro giocatori ungheresi (in serie BKrisztián Adorján nel Novara e Krisztián Tamás dello Spezia; in Lega Pro Dávid Forgács del Pisa e Bálint Vécsei del Lecce).

Gli ultimi governi ungherese stanno cercando di far ripartire il “sistema calcio”, partendo dagli stadi, anziché dai settori giovanili, anche se le politiche dell’attuale Primo ministro, il contestato (a livello europeo) Viktor Orbán, hanno visto ingenti spese nello sport nella speranza di vedere Budapest organizzare, tra le tante cose, le Olimpiadi estive del 2024.

La Nazionale ungherese, ed il calcio autoctono, vivono di ricordi e di fasti che non torneranno, almeno nel breve periodo: non ci sono talenti emergenti, nessuno è papabile per il Pallone d’oro FIFA e nessuno gioca nei top team europei. Contro la Norvegia, il Ct Bernd Storck (il quinto straniero, il secondo tedesco) ha chiamato ventisei giocatori ma solo Ádám Bogdán, Balázs Megyeri, Zoltán Stieber e Ádám Szalai giocano nei migliori cinque campionati europei.

In tutto questo memorabilia, ecco arrivare un lampo di simpatia, ma anche di caparbietà nella terra del lago Balaton: il giocatore ungherese più mediatico è un “giovanotto” di 39 anni dal fisico non prestantissimo, con un principio di calvizie e che sembrava essere uscito del giro della Nazionale. Nonostante questo, alla fine, è stato uno dei giocatori più importanti di Storck che hanno portato l’Ungheria in Francia: Gabor Kiraly, estremo difensore dell’Haladás e con un passato in Premier League e Bundesliga.

Kiraly non è un portierone, ma è uno che alla soglia degli “-anta” vuole ancora dire la sua, dando molto al suo popolo e alla sua Nazionale. Kiraly è famoso per il suo outfit, composto da dei pantaloni da portiere un po’ larghi di colore grigio che lo rendono non solo un po’ retro’, ma che sembrano fargli indossare un piagiamone dentro i calzettoni.

Dietro l’abbigliamento caratteristico di Kiraly, c’è un forte senso di scaramanzia: venti e passa anni fa giocava già nell’Halalas ma indossava i classici pantaloncini neri da portiere, solo che chi doveva lavarglieli non glieli diede in tempo e lui dovette ripiegare su dei lunghi pantaloni grigio chiari. Morale: la sua squadra vinse da allora otto partite di fila e lui decise di non cambiarli mai più. E per la prima volta da tempi immemori, in Francia, si potrà vedere giocare un portiere con le braghe lunghe mentre in campo ci sarà sicuramente un pallone superleggero e super tecnologico, i suoi colleghi indosseranno scarpini ultra shocking leggerissimi con maglie iper tecniche e pettinature all’avanguardia.

Dopo aver giocato in molte squadre inglesi e tedesche, Kiraly dallo scorso campionato è tornato nel suo Halales per guadagnarsi una maglia da titolare per il prossimo Europeo. Ed il fatto che il titolare vero e proprio, Bogdan, sia il vice-portiere del Liverpool (il titolare è il belga Simon Mignolet), l’antidivo Kiraly potrebbe avere buone chance di sentire a centrocampo, per la prima volta, l’inno ungherese (l’Himnusz) suonato in un contesto europeo dopo quarantaquattro anni di attesa.

Kiraly è un ragazzone che con caparbietà e tanta voglia di mettersi in gioco è riuscito a ritagliarsi uno spazio nella bella Ungheria che il 12 dicembre sarà in terza fascia al momento dei sorteggi dei sei gironi. E sarebbe bello se venisse sorteggiata con gli eterni rivali dell’Austria (seconda fascia), mentre non potrà essere inserita con gli eredi dell’altra grande interprete dal calcio danubiano, la Cecoslovacchia, visto che le sue eredi, la Repubblica ceca e la Slovacchia, saranno anch’esse in terza fascia.

E se la sorte non gli fosse stata beffarda, magari in Francia ci sarebbe andato anche Marton Fulop, lo sfortunato portiere della Nazionale, morto proprio il giorno della vittoria di Oslo all’età di 32 anni per colpa di un cancro e che lo ha fatto ritirare dal calcio due anni fa.

Ora è il turno dell’Ungheria, un Paese con molte problemi alle sue frontiere e con politiche molto estreme, ma con una grande tradizione calcistica alle spalle. Politica e calcio, nel bene e nel male, in Ungheria hanno fatto la storia, ma ora è giusto che siano separate.

Bentornata nel calcio che conta, Magyarok.

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