Luciano Moggi, ex dirigente di Napoli e Juventus, è intervenuto, in esclusiva, nella puntata di SportPaper TV, condotto da Roberta Pedrelli, per RadioRoma News e Bom Channel.
Moggi: “I migliori oggi sono Marotta e Ausilio”
Com’è cambiata l’Italia di Spalletti e cosa pensa della prestazione contro la Francia?
“La Nazionale ha fatto una partita dignitosa contro la Francia, che ha a disposizione una squadra più forte della nostra. Abbiamo dei problemi in attacco, abbiamo un tecnico che, a differenza del predecessore che puntava sui giovani, mira a calciatori che possano dare qualcosa in più nel nostro campionato, indipendente dall’età – si veda Acerbi, ad esempio. Di conseguenza, le partite possono sembrare diverse da quelle di prima; la sostanza qual è? È che i nostri giocatori sono inferiori a tanti stranieri. A differenza del passato, in cui gli stranieri guardavano alla Serie A come un campionato di prima categoria, molti vengono qui per farsi le ossa e ambire alla Premier. Pensare ad una Nazionale del futuro, con questi criteri, è impossibile, pensare di fare partite decenti, come quella contro la Francia, è possibile, ma si soccombe di fronte a squadre più attrezzate. Inutile fare troppi preamboli attorno a questa Nazionale, questa è e questa sarà finché non verranno fuori i nostri giovani, come accaduto nel 2006. Se ricordate, quella Nazionale vinse il campionato del Mondo a Berlino facendo trionfare il calcio italiano, mentre la squadra che dava i giocatori all’Italia era bombardata da tutti, compresi quei giornali che oggi fanno le magliette per i tifosi della Juventus, la stessa che allora criticavano terribilmente. Ora vedete che sia fuori che dentro c’era qualcosa che non funzionava e oggi lo stiamo vedendo. Non abbiamo fatto brutta figura, ma siamo inferiori a tante squadre del calcio europeo”.
Lei come avrebbe gestito il caso Rabiot?
“Per dire una cosa del genere bisogna essere nell’ambiente. Non posso esprimermi nel merito, però mi risulta che a Rabiot era stato offerto un contratto importante di tre anni che lui ha rifiutato. Evidentemente, la madre gli ha fatto capire di poter accedere a grandi club, cosa che poi non è accaduta. La Juventus ha fatto il possibile per trattenerlo, il giocatore o sua mamma, come succede sempre quando ci sono di mezzo i genitori, hanno puntato ad altro, arrivando a disputare un campionato inferiore rispetto a quello che poteva fare”.
Girano diverse indiscrezioni, crede che Andrea Agnelli tornerà ad appropriarsi della Juventus?
“Questo non lo so. Che Andrea Agnelli sia uno juventino nato e che voglia il bene della Juventus non c’è dubbio, ma non è possibile dire se possa tornare; dipende dalle trattative che ci sono tra questa direzione e lui, ma anche dalla sua volontà di rientrare”.
Che idea si è fatto di questi presidenti che nella scelta dei dirigenti si affidano alle app, all’intelligenza artificiale o anche a delle agenzie esterne?
“Anche agli algoritmi. Domanda che dovrebbe essere contrapposta ad una barzelletta, perché quando si parla di questo relazionato al calcio è davvero l’estremo limite. Ci sono delle società che fanno queste cose, mi riferisco al Milan, il quale, attenzione, ha preso anche dei giocatori interessanti. Tuttavia, in mezzo al campo c’è bisogno dei centrocampisti, non di mezze punte, perché questi cercano di recuperare il pallone e impostare. Le mezze punte, invece, saltano l’avversario, passano la palla, e poi guardano la partite. Le squadre così sono più soggette al subire ripartenze. Non è un caso che il Milan abbia subito 49-50 gol in contropiede nella passata stagione. Poi ci sono altri dirigenti, come quelli della Roma, che di calcio non sanno niente e confondono idee a tutti quanti. Se prima hai De Rossi che gioca a zona, poi prendi Juric che marca a uomo, è normale che crei scompiglio nei giocatori. La soluzione qual è? Cacciare Juric e prendere un terzo allenatore, ma siamo sul comico. Poi c’è il Presidente della Lazio che sa il fatto suo, cerca di mettere insieme un gruppo coeso, di portare avanti un discorso con un allenatore che lo scorso anno ha fatto bene, quale Baroni, e lo dimostra la classifica. Non significa che vincerà lo scudetto o andrà in Champions League, ma la sostanza è che si cerca di fare qualcosa con giocatori validi in mezzo al campo e un buon tecnico. Di gente incompetente ce n’è a sufficienza nel calcio odierno. Se dovessi scegliere i migliori dirigenti, dal mio canto, direi Beppe Marotta e Piero Ausilio all’Inter, gli unici ad aver fatto qualcosa di avveniristico; sono coloro i quali che possono dare qualcosa di più al calcio, perché sono nati nel calcio e agiscono con la loro esperienza per portare la squadra sempre in alto nella classifica, dando anche giocatori alla Nazionale. Cristiano Giuntoli è un buon dirigente perché ha dimostrato a Napoli quel che vale. Per quanto riguardo Spalletti, ha preferito giocatori già formati che in futuro possono anche non contare. È un calcio diverso che può dare anche dei risultati nell’immediato, ma che poi alla lunga soccombe di fronte a squadre più pronte, la Spagna e la Francia ne sono da esempio. Deschamps ha dimostrato di essere un grande allenatore vincendo il Mondiale, e, guarda caso, viene dalla scuola della Juventus, così come Conte, Palladino, Gasperini, tutti provenienti dal gruppo Juventus; questa era squadra combattuta da tutti, proprio nel momento in cui dava giocatori alla Nazionale. Questo predominio dava fastidio perché fatto da dirigenti che sapevano il fatto loro”.
Cosa pensa di Ranieri alla Roma?
“Ranieri è tornato per amore del calcio. Non ci sono dubbi sulle sue qualità. Deve essere preso come gestore di un gruppo che prima ha giocato in un modo e poi in un altro. Se la dirigenza della Roma andasse via nessuno ne sentirebbe la mancanza. Su Dybala, invece, c’è la questione legata alle partite che non conosco, ma sicuramente non si è fatto il bene dell’allenatore e del giocatore. Ranieri è un uomo vero, sarà utile per gestire, non per allenare. Sono convinto che per il bene della Roma è giusto che Ranieri metta bocca sulla scelta del prossimo tecnico, bisogna essere precisi. Non è necessario prendere il migliore se non si hanno giocatori con le caratteristiche necessarie per fare il suo gioco”.
Qual è il colpo della quale va più fiero in carriera e quello più difficile da mettere a segno?
“Quello più difficile non saprei. Moggi era bravo ad andare nei campi di calcio e vedere, senza guardare gli highlights televisivi ingannevoli. Il giocatore va visto nell’interesse del campo. Scelsi Ibrahimovic andando a vederlo giocare una volta a settimana. Proprio lì ho compreso, a differenza di quanto dicevano i giornalisti, che lui sapeva tirare da 30 metri, che portava la squadra in avanti e che era completamente diverso da quello visto con il famoso gol di tacco contro l’Italia. L’ho preso, mi hanno criticato, salvo poi ricredersi e osannarlo. Le persone devono andare sul campo. Il lavoro di un dirigente non finisci mai, le squadre di calcio sono diventate aziende. Per il bene del calcio è necessario che i dirigenti siano preparati”.