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ESCLUSIVA – Lanzafame: “Vlahovic deve deresponsabilizzarsi. Baroni è sottovalutato. Il segreto di Conte? Competenza, fame e motivazione”

L'ex calciatore ha parlato delle sue quattro ex squadre (Juventus, Parma, Bari e Palermo) e raccontato la propria esperienza sotto la guida di Antonio Conte, Marco Baroni e Marco Rossi, attuale ct della nazionale ungherese.

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Davide Lanzafame, ex calciatore di Juventus, Bari e Palermo, intervistato, in esclusiva, per sportpaper.it.

Lanzafame: “Inter favorita per lo scudetto. De Rossi? Non è semplice avere a che fare con società straniere che vivono poco il quotidiano e guardano soltanto i risultati”

Come giudica la partenza della Juventus di Thiago Motta?

“Non male, si parte dalla solidità difensiva, che è on ottimo punto di partenza per un allenatore nuovo. Bisogna fare di più dal punto di vista propositivo ed offensivo, ma già il fatto di non aver subito gol e di essere imbattuto è una buona base”.

Per Vlahovic, invece?

“Vlahovic è un giocatore fortissimo, ma deve togliersi di dosso leadership, che ad ora non gli spettano, e giocare più leggero, come a Firenze o al primo anno di Juve. Così facendo riacquisterà fiducia. Non deve giocare solo per il gol, ma deve guardare anche alla prestazione. Su questo Thiago Motta darà un grande aiuto”.

Motta sta lanciando molti ragazzi e la Juve continua a sfornare giovani dal vivaio. Lei conosce bene l’ambiente, con le dovute distinzioni date dai periodi calcistici, ma qual è il segreto del Mondo giovanile Juve?

“Nel mio periodo molti erano di Torino e lavoravamo in maniera importante. Ora, invece, si tende a comprare giocatori di alta categoria Primavera e si riescono a prendere i miglior prospetti. Fatto sta che la Juventus lavora bene sul settore giovanile, fa plusvalenze importanti; la Next Gen è una vetrina importante per molti calciatori, come accaduto per Soulé, come sta accadendo per Savona, ora in pianta stabile in prima squadra. Penso che il lavoro del settore giovanile bianconero negli ultimi vent’anni sia notevole, nonostante i tanti cambi di gestione, ed è sicuramente una risorsa fondamentale per il futuro”. 

La partenza del Parma di Pecchia, invece?

“Molto bene, Pecchia è un allenatore propositivo, affronta ogni partita per poterla vincere e la gara di Lecce ne è la testimonianza. È un tecnico che seguo molto, apprezzo molto. Nel biennio a Parma, ma non solo, anche nelle precedenti esperienze, ha mostrato di essere valido, facendo molta gavetta e facendo da assistente ad allenatori importanti come Benitez. Sta mostrando il suo valore, sia dal punto di vista tecnico che comunicativo. È molto preparato”.

A proposito di allenatore forti dal punto di vista comunicativo, lei è stato allenatore da Antonio Conte. Come lo vede a Napoli?

“Son di parte. Per me è un allenatore incredibilmente forte. Riesce a far esprimere i suoi calciatori al meglio. Chiaro che è un allenatore molto impegnativo, dove il dispendio di energie è grande. Il mister in questo è eccezionalmente bravo. Penso che sia l’epoca giusta per lui a Napoli. Parte da un decimo posto e può portare gli azzurri dove meritano di stare, ovvero tra le prime quattro. Qualora dovesse qualche passo falso delle squadre più attrezzate potrebbe approfittarne”.

Qual è il segreto di Conte?

“Lo racchiuderei in tre aggettivi: competenza, fame e motivazione. La competenza è il modo di rinnovarsi anno per anno, perché il calcio cambia, la motivazione e la fame sono le stesse di quando l’ho avuto come tecnico. È estremamente coerente, non guarda la carta d’identità, non cerca il nome, ma si limita al rettangolo verde e non è da tutti”.

Conte lo hai avuto a Bari, squadra che lo scorso anno a fatto fatica, ma che sta provando a ripartire.

“Il Bari ha una tifoseria esigente, ma generosa, che non ha mai fatto mancare il proprio calore alla squadra. Penso che una piazza così debba essere costantemente in Serie A, per il territorio, la tifoseria e per la storia. Questo va fatto con le giuste basi. Al momento non è ancora pronta per il grande salto. Mi auguro che De Laurentiis, o chi verrà, possa investire su questa grandissima società perché lo merita, ha dei tifosi invidiabili e mi auguro quanto prima che torni nella massima serie”.

Il Palermo invece?

“Il Palermo è in una situazione analoga. Ha una tifoseria diversa, più esigente. La piazza ha fame di calcio. È arrivata una società straniera che ha voglia di andare in A. Non so se ci riuscirà nell’immediato, ma le basi ci sono. Ha preso un allenatore preparato e vorrà sicuramente fare bene”.

Chi vedi favorito per lo scudetto?

“Assolutamente l’Inter: ha la rosa più forte, la più attrezzata, ed è quella che ha cambiato meno e ha aggiunto tanto alle seconde linee. Sicuramente i nerazzurri sono favoriti, ma nel calcio nulla è scontato”.

Le romane: la Roma che ha cambiato in corsa e la Lazio che ha puntato su Baroni. Un parere su questo. 

“Baroni è sottovalutato. Ho avuto la fortuna di averlo come allenatore. Ha fatto campionati notevoli, con salvezze equivalenti a scudetti. Ha uno staff di primo livello. Predilige un profilo basso e a livello mediatico non ha una grande risonanza. La Lazio ha fatto la scelta giusta. Per quanto riguarda la Roma, mi dispiace tanto per De Rossi, che stava facendo il suo ed è stato penalizzato da un mercato posticipato, ma per chi fa questo mestiere, come vorrei farlo io, è una qualcosa di ordinario. I giallorossi hanno puntato su un allenatore preparato, ambizioso e sfacciato, dal punto di vista sia tattico che comunicativo, che è Juric. De Rossi non meritava una fine del genere. Non è semplice avere a che fare con società straniere che vivono poco il quotidiano e guardano soltanto i risultati”.

Hai fatto una grande esperienza in Ungheria, data anche l’esplosione della nazionale sotto la guida di Rossi.

“Marco sta portando il calcio ungherese dove merita. L’Ungheria ha un grande spirito di appartenenza, oltre ad una storia importante. Sta facendo un lavoro incredibile con una nazionale non di primissima fascia. Non a caso è diventato un’istituzione nel calcio ungherese. Se l’è guadagnato sul campo e con i risultati raccolti negli anni. Sono felice di aver vinto e lavorato con lui, sono riconoscente e cercherò di far tesoro dei suoi insegnamenti”.

Il più bel ricordo della carriera da calciatore.

“Bella domanda. Se dovessi sceglierne uno direi l’esordio in Serie A. È il desiderio di ogni bambino. Giocare nella massima seria con la maglia della Juventus è l’ambizione di ogni ragazzo e io ho avuto la fortuna di farlo”.

Il calcio europeo sta cambiando. Crede che il numero consistente possa condizionare la tenuta atletica dei calciatori e anche lo spettacolo?

“Le rose son formate da 25 calciatori potenzialmente titolari: chi fa le coppe ha rose lunghe. Pensare all’antica è improponibile. Chi va in fondo alle competizioni europee si avvicina alle 60 partite all’anno, è inevitabile che ci siano delle rotazioni. Devono essere bravi gli allenatori a cambiare e a gestire le forze. Fermo restando che il numero di partite è davvero elevato e sotto il profilo degli infortuni si va oltre. Ci sono interessi maggiori per cui le società hanno poca possibilità di scelta”.

Ha avviato la carriera da allenatore. Quali sono i progetti per il futuro?

“Vorrei fare un percorso di crescita. Sono partito dal basso, iniziando dalla quarta serie ungherese, vincendo un campionato di Eccellenza in Piemonte nella passata stagione, con esperienze che mi hanno formato. I due corsi a Coverciano hanno allargato il mio bagaglio. Ora attendo una nuova sfida che mi possa aiutare a crescere ulteriormente”. 

 

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