La voce di Sky ci ha detto la sua sulla stagione NBA che verrà, riservando alcuni spunti anche per la pallacanestro nostrana.
Se siete appassionati di pallacanestro o vivete quasi quotidianamente sentendo la voce di Davide Pessina ronzarvi nella mente, affollata di grandi ricordi del basket NBA e non solo, oppure non lo siete davvero.
Davide Pessina, aostano classe ’68, è una pietra miliare della nostra pallacanestro: 17 anni a livello professionistico in cui ha collezionato uno scudetto, 2 coppe Korac e ben 44 presenze con la divisa della nazionale Italiana. Da diversi anni racconta inoltre il grande basket su Sky in cabina di commento, ed è ormai dal 2015 che ci tiene svegli anche alle NBA Finals in compagnia di Flavio Tranquillo.
Face to Face con Davide Pessina
Cominciamo con l’NBA, che torna il 19 ottobre dopo la cavalcata estiva terminata con le NBA Finals. Quali impressioni ti hanno lasciato quelle del 2021? E pensi che Phoenix e Milwaukee potranno ripetersi e tornare su questo palcoscenico?
“Mi ha lasciato la sensazione che Phoenix sia una squadra sulla strada giusta e che sia cresciuta molto, anche più del previsto. Hanno avuto avversari che hanno perso vari giocatori per infortunio, ma questo fa parte del gioco. Phoenix non faceva i Playoffs da tanti anni ed è arrivata in finale, un grande risultato. Non è tutto automatico, ma possono ancora disputare una stagione di alto livello. Milwaukee ha vinto e ho la sensazione che Giannis Antetokounmpo sia davvero diventato il padrone della lega. 50 punti e 14 rimbalzi per chiudere la serie non è affatto male. Possono ripetersi, in più tutti guardano Brooklyn ad Est, quindi potranno anche viaggiare senza troppa pressione, anche se la perdita di PJ Tucker potrebbe pesare”.
Subito dopo le finali prima il Draft, con Cade Cunningham scelto da Detroit con la prima assoluta, poi una free agency molto movimentata. Qual è stata, secondo te, la squadra che si è rinforzata nel modo migliore?
“Non si sono mossi tanti giocatori di primissima fascia, però molte squadre si sono sistemate bene: i Los Angeles Lakers hanno cambiato tantissimo, con soli 3 giocatori rimasti dalla scorsa stagione. Sono stati aggiunti tanti veterani con un contratto di un anno al minimo, disposti a sacrificare qualcosa per vincere. Anche i Miami Heat si sono resi molto interessanti, una squadra ancora più “brutta, sporca e cattiva” con Kyle Lowry, PJ Tucker e Markieff Morris, dunque sarà una squadra tosta da affrontare. In generale la squadre competitive, come Utah, sono rimaste tali, senza cambiare tantissimo”.
Ti piace il nuovo Big 3 dei Lakers?
“Voglio prima vedere come giocano: a parole è facile dire di voler sacrificare qualcosa, poi però bisogna farlo. Quando c’è LeBron James di mezzo, in ogni caso, le cose tendono ad esser fatte. Offensivamente è stato aggiunto Russell Westbrook, un altro non tiratore che ha bisogno della palla in mano e che ”occupa gli spazi” di LeBron. Una chiave sarà Anthony Davis da 5, cosa che non ha sempre accettato con grande entusiasmo. Questo può permettere di giocare piccoli ed inserire un paio di tiratori attorno ai Big 3. Tanto passa anche dalla loro difesa, la migliore l’anno scorso. Se difendono bene, anche con tanti rimbalzi, potranno correre e sfruttare Westbrook, letale in transizione. A livello individuale ci sono giocatori un po’ meno abili difensivamente rispetto all’anno scorso. Al netto di infortuni, comunque, saranno una squadra protagonista a lungo”.
L’anno scorso Anthony Davis, per esempio, ha avuto vari problemi fisici. Tale questione, dovendo giocare maggiormente contro centri robusti, sarà sicuramente delicata.
“Sicuramente, ma in ogni caso in una partita (o una serie) dove si gioca contro il Gobert di turno ci sono DeAndre Jordan e Dwight Howard che possono ovviare alla situazione. Da 4 e da 5, difensivamente, può dare un grandissimo aiuto: è un buon stoppate, è molto rapido e può anche cambiare agevolmente. Fisicamente è più faticoso giocare da centro, ma ha tutto per poterlo fare”.
Oltre a Russell Westbrook, a L.A. è tornato anche Rajon Rondo: i due condividono il ruolo e hanno una personalità piuttosto forte. Pensi che questo potrebbe far nascere problemi in spogliatoio, a livello collettivo e/o tra loro?
“Non credo, Westbrook è arrivato a un punto in cui, se vuole vincere, dovrà essere lui a fare delle rinunce e adattarsi a situazioni che potrebbe non amare particolarmente. Rondo è un giocatore fatto a modo suo, ma si nota quando è coinvolto e quando non lo è. Se lo è, può essere un prezioso valore aggiunto. Ha una grande intelligenza casistica, è un ottimo playmaker ed è già stato importante per i Lakers nella bolla, anche a livello di leadership. Può avere un impatto importante, e credo che tutti siano uniti per andare a vincere il titolo. E poi, c’è sempre LeBron che aleggia sopra tutti…”
La questione più discussa nelle ultime settimane riguarda Ben Simmons. Come pensi finirà per lui e per Philadelphia?
“Se ne andrà, prima o poi Philadelphia dovrà arrendersi. Bisognerà chiuderla il prima possibile, la stampa farà pressione su questo e lui non vuole più giocare lì. Non penso che si ricrederà, mi auguro che trovino la soluzione migliore al più presto. Tutta la Lega conosce la situazione, dunque il prezzo scenderà, e questo stallo nuoce ad entrambe le parti”.
A proposito di stampa, anche quella di New York presserà molto i compagni di Kyrie Irving per la quesitone vaccini.
“Da quello che si legge e si conosce, Kyrie Irving è letteralmente fatto a modo suo, i compagni che proveranno a convincerlo a vaccinarsi avranno un successo relativo. Sta a lui decidere, ma qui si crea un’altra situazione alla Ben Simmons: ogni volta che c’è un’intervista si chiederà di lui ai giocatori dei Brooklyn Nets. In più, New York proibisce di fare sport al coperto a chi non è vaccinato, dunque parliamo di 41 partite saltate, ma anche di tutti gli allenamenti. Con Kyrie di mezzo può succedere di tutto”.
Nel tuo emozionante discorso sul palco di TedX hai detto che “un decimo di secondo può decidere una partita, una stagione o anche una carriera intera. Però ci sono anche tanti altri tipi di tempo: uno, il più temuto, quello del recupero da un infortunio”. Queste parole mi hanno portato a pensare a Klay Thompson: prima la rottura del crociato alle Finals 2019, poi quella del tendine d’Achille a fine 2020. Ora che sembra pronto per il ritorno, cosa può ancora dare ai golden State Warriors?
“Ha avuto forse i 2 peggiori infortuni che possano capitare ad un giocatore di basket. Dicono che stia bene e che si stia allenando benissimo, potrebbe tornare verso Natale, ma ci vorrà tempo. È un giocatore straordinario, grande tiratore e difensore, il perfetto completamento e complemento del gioco di Curry: Steph ha bisogno della palla in mano, Klay può segnare 50 punti tenendola in mano 30 secondi in tutta la partita. Non sono quelli delle 73 vittorie perché hanno qualche anno in più e manca qualche giocatore di rotazione, ma i tre restano loro. È tornato anche Iguodala e Wiggins sarà disponibile dopo il vaccino. Se Thompson torna simile a come lo conosciamo, ad Ovest saranno una mina vagante non da poco. E non dimentichiamo il ritorno di James Wiseman, un altro talento”.
In realtà il tuo discorso inizia con un ricordo della finale tra Milano e Livorno del 1989, decisa proprio per questione di decimi di secondo in gara 5 e poi vinta da Milano. Quali sono state le emozioni più forti di quella giornata?
“L’emozione di giocare le finali, purtroppo prime ed ultime per me, sono state tante. Viverla con grandissimi giocatori è stato un ulteriore valore aggiunto. Per mezz’ora siamo rimasti barricati nello spogliatoio non sapendo chi avesse vinto. Io festeggiavo perché avevo visto l’arbitro far segno che il canestro di Livorno non era valido. Poi ci hanno avvisati che avevano aggredito un nostro compagno ancora in campo, e subito dopo Cappellari, il nostro General Manager, è entrato dopo aver parlato con gli arbitri e ha ufficializzato la nostra vittoria. Simao rimasti barricati lì dentro un altro paio d’ore, per poi andare verso il pullman con la polizia. Vincere una finale scudetto in gara 5 è emozionante, ancora di più se avviene in questo modo…”
Abbiamo parlato della Milano di ieri, ma ti chiedo anche di quella di oggi: l’anno scorso il grande percorso in Eurolega, interrotto però alle Final 4, e la sconfitta in finale per 4-0 contro la Virtus Bologna. Quest’anno la squadra di Messina potrà ancora ambire ad entrambi i trofei?
“Hanno cambiato abbastanza perdendo un po’ in talento, ma guadagnando in fisicità. La stagione scorsa è stata di altissimo livello, forse contro Bologna hanno pagato anche un calo mentale, dopo aver perso la semifinale all’ultimo tiro. Ripetersi in Eurolega è complicato, ci sono 34 partite di stagione ed i Playoffs, il percorso per arrivare alle Final 4 è complicato. Credo che proveranno ad alternare i minuti dei componenti del roster, anche se non è facile crearne due “separati” per le due competizioni. Se Messina riuscirà ad incastrare tutto, Milano sarà ancora competitiva”.
Infine un’ultima domanda, più personale che da aspirante giornalista: sono nato e vivo a Torino, città in cui hai giocato dal 1984 al 1988 e con cui hai esordito nel basket professionistico. C’è qualche aneddoto legato a quegli anni che vuoi raccontare?
“È sicuramente stata una grande esperienza. Al tempo il settore giovanile era molto curato, guidato da un grande allenatore come Federico Danna. Al tempo la squadra era competitiva, veniva da una semifinale contro Bologna. C’era poi un altro grande allenatore, nonché grande persona, ovvero Dido Guerrieri. Per i giovani era davvero l’allenatore perfetto, ti dava fiducia ed era un uomo di grande cultura. Sono contento che sia ritornata in Serie A per un periodo, e mi auguro che possa replicarsi presto perché tra impianti, passione e storia Torino è una piazza molto importante per il basket italiano”.