Italia campione del mondo – La Chiesa cattolica il 9 luglio festeggia santa Veronica Giuliani, ma per i tifosi italiani il 9 luglio è un’unica e sola data: azzurri campioni del Mondo in Germania nel 2006.
ITALIA E LA NOTTE DI BERLINO
Sono passati dodici anni esatti dalla vittoria all’Olympiastadion di Berlino contro la Francia che ci diede la nostra quarta Coppa del Mondo. Una partita infinita quella contro i “galletti”, terminata con il rigore segnato da Fabio Grosso. E per una volta i rigori ci sorrisero, a dispetto di quanto avvenne nella finale mondiale di Pasadena del 17 luglio 1994, quando Roberto Baggio calciò alle stelle il suo penalty, consegnando la coppa più importante (e bella) di tutte al Brasile tetracampeão.
Che estate quella del 2006. Un’estate che ricordò molto quella del 1982 che, ironia della sorte, vide la nostra Nazionale vincere il Mondiale spagnolo. Allora si contestavano le scelte tecniche e le convocazioni del Commissario tecnico Enzo Bearzot, mentre dodici anni fa il calcio italiano era immerso nello scandalo “Calciopoli”, con la Juventus retrocessa in Serie B ed un totale di 181 punti di penalizzazione inflitti a Milan, Fiorentina, Lazio e agli stessi bianconeri al termine della stagione. Le prime tre, insieme a Siena e Reggina, la stagione successiva dovettero anche scontare complessivamente trentotto punti di penalizzazione in classifica.
Se nell’estate del 1982 la quasi totalità dei tifosi non voleva la convocazione di Paolo Rossi, tornato a giocare solo l’aprile precedente (ovvero per le ultime tre partite di campionato) a distanza di due anni per via della squalifica per il “totonero”, a scapito di Roberto Pruzzo ed Evaristo Beccalossi, in quella del 2006 moltissimi non volevano la convocazione dei giocatori juventini (capitan Cannavaro, del Piero, Buffon, Zambrotta e Camoranesi) perché non erano degni di rappresentare i colori azzurri poiché tesserati di una squadra coinvolta fino ai capelli nel peggior scandalo calcistico della nostra storia. Anche Marcello Lippi non fu esente da critiche, ma invece furono proprio loro i più determinanti di quel bellissimo Mondiale.
Tutti ci ricordiamo come fosse ieri cosa facevamo in quel magico periodo dove il nostro calcio si prese una grande rivincita contro tutto e tutti. Soprattutto nei confronti della Germania padrona di casa e nostra sfidante nella semifinale (il 4 luglio), la quale subì un 2-0 senza se e senza ma che fece abbassare la cresta ad una Nazione che troppe volte si è presa beffa del nostro Paese, ma che calcisticamente è riuscita a sconfiggerci, tra amichevoli ed incontri ufficiali, complessivamente solo otto volte in trentacinque partite.
Nel Mondiale tedesco, l’Italia, in sette partite, segnò dodici reti subendone solo due (tra cui una goffa autorete) : dal 2-0 al Ghana all’autorete di Zaccardo e all’espulsione di de Rossi contro gli Usa che vanificarono il vantaggio di Gilardino e del suo “violino”, dalla capocciata di Materazzi e la pazza corsa di Barone al fianco di Inzaghi contro la Repubblica ceca al rigore concesso generosamente contro l’Australia e realizzato da Totti negli ottavi di finale, dalla prodezza di Zambrotta e la doppietta di Toni all’Ucraina nei quarti ai fenomenali assist di Pirlo e Gilardino per Grosso e del Piero negli ultimi due minuti dei tempi supplementari contro la Germania, per poi chiudere con l’emozionante finale contro la Francia.
La finale di Berlino fece il boom di share in tv ed il Paese intero si fermò per sperare nella vittoria contro gli odiati rivali d’Oltralpe. Passò in vantaggio la Francia al 7′ con il rigore “a cucchiaio” di Zidane per fallo di Materazzi su Malouda, ma gli azzurri pareggiarono con lo stesso numero 23 dodici minuti dopo. 1-1 al 90′, 1-1 al 120′: calci di rigore. E per una volta i tanto temuti penalties (leggasi Usa ’94 e Francia ’98) ci portarono sul tetto del Mondo prima con l’errore di Trezeguet e poi con il tiro preciso di Grosso. E proprio il numero 3 allora in forza al Palermo, convocato inizialmente come gregario, alla fine divenne l’emblema di quella Nazionale che con il cuore e l’anima aveva compiuto un’impresa straordinaria.
Ma Grosso è stato la punta dell’iceberg di una Nazionale che ad ogni partita giocata sembrava crederci sempre di più. E subito vengono alla mente le parate di Buffon (chiedere a Zidane in fianle, per intenderci), gli stop e le ripartenze di Cannavaro, la grinta di Gattuso, l’intelligenza tattica di Perrotta e Zambrotta, la garra di Camoranesi e il top scorer che non ti aspetti, Marco Materazzi.
Sull’allora centrale di difesa dell’Inter ci sarebbe da aprire un capitolo a parte: partito panchinaro, si è imposto come un gladiatore e la sua rete in finale riaprì i giochi di un incontro che sembrava già indirizzato in favore dei ragazzi di Raymond Domenech. Storica è stata anche la testata che si prese da Zidane nella finale che comportò l’espulsione del capitano francese al decimo minuto del primo tempo supplementare.
Era giusto che quella Coppa tornasse in Italia. Era scritto nel destino, negli astri. La giusta ricompensa di un estate tremenda che aveva macchiato il calcio nostrano con il peggior scandalo calcistico di sempre. Quella vittoria, a dodici anni di distanza, stride ora con il fatto che nel successivo Mondiale sudafricano e brasiliano l’Italia sia uscita già nella fase a gironi, per non parlare del fatto che nel Mondiale in corso in Russia la nostra Nazionale non si è neanche qualificata, “bucando” dal 1958, per colpa di scelte tattico-tecniche dell’allora Ct Ventura contro la Spagna nella partita decisiva della fase di qualificazione e nei play off contro la Svezia. Un harakiri incredibile.
Da due mesi la nostra Nazionale è guidata da Roberto Mancini, erede del “traghettatore” Gigi di Biagio, a sua volta erede della sciagurata gestione Ventura. Parliamoci chiaro: l’Italia “sperimentale” del “Mancio” contro Arabia Saudita, Francia e Paesi Bassi contro quella campione del Mondo in Germania perderebbe a mani basse, un po’ perché il livello del nostro calcio si è abbassato come talento in questi ultimi anni, un po’ perché i Ventitre di Lippi erano l’emblema di un ciclo di giocatori che toccò l’apice con la vittoria a dicembre di Fabio Cannavaro del Pallone d’oro. Nella lista dei top 30 di France Football di quell’edizione piazzammo Gigi Buffon al secondo posto (miglior risultato di un portiere dal 2002), Pirlo al nono, Gattuso al quindicesimo, Luca Toni e Gianluca Zambrotta ventitreesimi.
Cosa dovrebbero fare gli azzurri di oggi? Una cosa forse banale: appendere nelle loro camere l’immagine di Cannavaro che alza al cielo di Germania quella coppa in oro 18 carati, alta 36 centimetri e pesante poco più di 6 kilogrammi, sogno di tutti quelli che da piccoli vorrebbero fare i calciatori. Un monito per tutti. E anche i tifosi dovrebbero fare lo stesso: l’immagine del capitano azzurro festante che permetterebbe a tutti quanti noi di conciliarci, di abbracciarci e di volerci bene pensando che da underdog e da denigrati abbiamo vinto un Mondiale insperato, alla faccia di “gufi” e detrattori vari.