De Rossi: “Il match analyst è fondamentale per un allenatore. Raspadori calciatore d’altri tempi”

L'ex capitano giallorosso parla a 360 gradi

De Rossi
DANIELE DE ROSSI SORRIDENTE ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Daniele De Rossi, collaboratore tecnico di Roberto Mancini, è stato ospite al Social Football Summit insieme all’allenatore della Nazionale. Queste le sue parole: “La tecnologia cominciava ad essere presente nel 2001 con una raccolta di dati e lo studio del corpo umano dell’atleta ma non c’era il social che racconta tutto ai tifosi. Era tutto molto più intimo così come il tempo che passavamo insieme ai compagni. Quando sono arrivato in prima squadra si mandavano le foto in MMS e sembrava già tantissimo. Rimpiango quel momento, se dimentico il telefono torno a casa mentre prima vivevamo più sereni. Si giocava a carte, si parlava e si stava insieme. Il fatto che eravamo più italiani era più facile”.

Che rapporto hai con i social? 
“Un giorno sotto casa ho trovato uno che ha detto, grazie delle parole su Kobe Bryant ma non avevo detto niente. Per far finire i fake ho aperto il profilo. Interagisco poco ma guardo e mi faccio gli affari degli altri. Mia moglie lo usa tanto e mette sempre qualcosa tutti i giorni, io non ne sento la necessità. L’altro giorno ho beccato un calciatore che leggeva i commenti di Instagram in un momento poco felice e non era giusto. Purtroppo succede anche questo”.

I big data e i numeri, sono strumenti utili per il futuro allenatore De Rossi?
“Fondamentale, non se ne può fare a meno. La raccolta dei dati e la match analyst è fondamentale. L’occhio è importante ma non basta più. La vecchia scuola pensa così, ma i dati aiutano tanto. Tanti anni fa stavamo per comprare alla Roma un calciatore e io ne volevo un altro che era Nainggolan. L’altro calciatore aveva dati maggiori, ma non aveva niente a che vedere con Radja. Là, però, va visto la squadra dove gioca e l’allenatore. I dati sono importanti ma non bastano”.

Com’è questo gruppo Italia? Hai rifiutato alcune proposte per rimanere nello staff ricordando che sei, insieme a Zoff, l’unico ad aver vinto Mondiale ed Europeo… 
“Anche Oriali lo ha fatto se no si arrabbia. Questo gruppo, prima dei risultati, è rinato dalle proprie ceneri che erano anche le mie come in Italia-Svezia. La sensazione è che si possa ripetere perché post-Europeo è cambiato davvero poco. Il rapporto creato da Mancini con il gruppo è sulla cordialità ed il rispetto. Ho avuto tanti allenatori molto bravi in Nazionale ma ci sono state volte che mi pesava andare a Coverciano. Ora è tornato un piacere per tutti vestire una maglia importante e stare quotidianamente a Coverciano. Durante l’Europeo 50 giorni senza vedere nessuno per il Covid ed è stato pesante ma se fossero serviti saremmo rimasti altri 10 giorni”.

Hai fatto parte di una generazione dove tu, Buffon e Totti siete stati titolari fin da giovanissimi come molti altri. Ora, da fratello maggiore, come vedi la situazione Italia? Si può fare qualcosa per cambiare la situazione? 
“Probabilmente c’è un impoverimento. Si vive meno con il pallone in mezzo ai piedi o in spiaggia come facevo io a Ostia, Come in un allenamento se tocchi la palla 1000 volte migliori molto ed ora si fa meno. C’è meno materia prima ma qualcosa c’è. Abbiamo trovato 4-5 giocatori che non conoscevo dall’Under. Se si ha coraggio, i giovani ci sono. A loro consiglio di andare a giocare, vedo tanti ragazzi che rimangono aggrappati alle squadre di appartenenza, ma dovrebbero trovare la loro strada. Mancini, da Zaniolo in giù, ha dimostrato di saper guardare tutti. Il materiale c’è ma va aiutato a vedere e a farli uscire fuori”.