Daniele De Rossi, ex allenatore e capitano della Roma, è intervenuto alla sesta edizione dello “Sport Talk Industry”.
De Rossi: “Indossare la stessa maglia ha un sapore particolare”
Queste le sue parole: “Dico sempre quello che penso, noi interpreti del calcio dobbiamo cambiare. Ci stiamo avvicinando al mondo del tennis per la faccia di chi sta vincendo, così come i suoi compagni. Facce pulite e giovani che lottano per il nostro paese. Il mondo del calcio essendo così tanto popolare ha una serie di interessi che vengono tirati dal tifo. Ciò che importa è l’interesse della squadra, così funziona il calcio purtroppo. Siamo tutti attratti dal tornaconto economico per un dirigente e sportivo per un tifoso. La normalità è sottovalutata al giorno d’oggi, è difficile giocare semplice. Mi viene da citare Rodri che ha vinto il pallone d’oro, lui gioca semplice ma farlo come fa lui prevede mille pensieri quando non viene inquadrato. Il calcio è uno sport semplice e ti avvicina alla gente, ma fare le cose semplici è difficile. Tutti gli allenatori vogliono emulare chi sembra geniale come Guardiola, questo però toglie il pallone dai piedi dei ragazzini per fare un’ora di tattica. Il ragazzino deve fare uno contro uno, giocare e divertirsi. Poi crescendo si deve fare un lavoro diverso, tutti gli sport stanno cambiando e si va verso una fisicità. Il calcio va sempre verso quei calciatori di gamba. Per chi tifa avere qualcosa in cui rivedersi dentro la propria squadra è importante. Quando Sinner vince siamo tutti contenti, ma quando lo fa in Davis siamo ancora più contenti”.
Vivere un’intera carriera con la stessa maglia, com’è successo a lui con la Roma: “Ha un sapore particolare vedere un giocatore proseguire tutta la sua carriera con la stessa maglia. Ogni tanto a chiunque viene il pensiero di staccarsi, ma poi questo sentimento forte ti lega alla maglia. Non solo la vittoria rende felici, rende belli, intelligenti e credibili”.
E come lui, Francesco Totti, del quale De Rossi parla così: “Il giocatore più forte e più affascinante, ci ho giocato tanti anni insieme. Aveva questa aura che si portava dietro, questa leadership anche silenziosa. Parlava con i gesti, l’ho vissuto anche da tifoso come adolescente”. Mentre, tra gli avversari affrontati, De Rossi cita: “Da avversario mi affascinava Zidane, era proprio bello da vedere e fortissimo, sia fisicamente che tecnicamente. Il più difficile da affrontare per me è stato Seedorf, marcavo grandi giocatori con grande facilità, ma con Seedorf affrontavo un giocatore più forte fisicamente, più forte tecnicamente e più rapido nelle scelte”.
Poi il passaggio da allenatore, con l’arrivo alla Roma lo scorso gennaio: “Per allenare una squadra si può parlare di doti tecniche e di conoscenze calcistiche che servono, ma a me sta aiutando una cosa che avevo anche da calciatore ovvero l’altruismo. A me piaceva aiutare i compagni, serve altruismo dentro uno spogliatoio con 30 giocatori. Nel primo spogliatoio alla Spal mi vedevano come un oggetto non identificato e dovevo fargli capire che ero al loro servizio. Alla Roma sono entrato come una bandiera del club e venivo visto quasi come amico da alcuni giocatori, devi trovare le giuste misure ed è importante anche lo staff. La parte mentale e la gestione del gruppo è molto importante, poi ci vogliono le conoscenze calcistiche. Se non hai conoscenze i calciatori ti battezzano subito”.
“Solo la vittoria rende felici nello sport?”, domandando a De Rossi. Risposta: “No, la vittoria rende belli, intelligenti, furbi, ascoltabili e credibili. Forse il più grande esempio è Gasperini perché quello che ha fatto è incredibile, ha cambiato vita ad un club e alla città, prendendo una squadra che faceva l’ascensore tra A e B con grande dignità e ora è club di prima fascia. Adesso è un personaggio affascinante dopo aver vinto l’Europa League, ma a volte finali del genere le perdi anche per un rigore o un episodio e non cambia niente nel tuo percorso.
Lo stesso è successo a Spalletti dopo lo Scudetto. Per me il percorso è la cosa più affascinante, non ho vinto tantissimo a livello di club, ma ho vinto il Mondiale e non ricordo quel trionfo con più affetto e brividi rispetto all’Europeo del 2012 quando perdemmo in finale contro una squadra di marziani. Per me la vittoria non rende felici, ma intorno a me percepisco che chi vince può dire una parola in più”.
All’uscita De Rossi si è concesso ai vari appassionati per presenti per selfie e autografi, sfuggendo invece alle domande sul momento della Roma: “Di attualità non parlo”.