Coronavirus, l’immunologo Le Foche: “Atalanta-Valencia il caso zero del contagio a Bergamo”

Coronavirus Le Foche Atalanta Valencia

Coronavirus, parla Le Foche: “Atalanta-Valencia un grosso errore”

Coronavirus Le Foche Atalanta Valencia | In tempi di emergenza coronavirus siamo tutti diventati esperti di medicina e immunologia. Per fortuna i post e i meme che girano su facebook e  whatsapp durano lo spazio di un click e lasciano pochi strascichi nella condotta degli italiani al tempo del Covid-19. Per avere notizie più dirette e chiare, l’edizione oggi in edicola del Corriere dello Sport, ha mandato in stampa un’intervista realizzata da Giancarlo Dotto a Francesco Le Foche, medico immunologo, responsabile del day hospital di immuno-infettivologia del policlinico Umberto I di Roma. Ecco un estratto dell’intervista, quello dove l’immunologo declina la sua tesi sull’anomalia dei contagi a Bergamo.

Atalanta Valencia Tabellino Highlights

L’anomalia di Bergamo

La diffusione enorme del virus a Bergamo e provincia e il tasso unico di letalità. Niente certezze. Ipotesi? «Probabilmente in quel distretto hanno agito più fattori trigger, i catalizzatori che attivano in modo repentino la diffusione del virus, facendolo esplodere in tutta la sua gravità».

Nello specifico? «Un paio su tutti. Quella bergamasca è un’area molto attiva nel mondo degli scambi economici e sociali. Un terreno ideale per il virus. Secondo fattore, parliamo antropologicamente di gente da sempre molto operosa, spartana, con una grande cultura del lavoro e una tendenza a sottovalutare e dunque trascurare malesseri che sembrano
di stagione. L’albero degli zoccoli di Olmi è la rappresentazione perfetta di questa gente. Aggiungiamo i comportamenti che, specie nei primi giorni, non hanno certo aiutato
lo stop del virus».

Un esempio? Da Valencia arrivano espliciti riferimenti alla partita di San Siro del 19 febbraio, l’Atalanta-Valencia andata di Champions. «Uno di questi episodi, tra i più eclatanti, potrebbe essere stato proprio quello. L’apice in termini di euforia collettiva di una stagione calcistica unica nella storia del club».

Siamo al paradosso assoluto: il contagio positivo della festa e dell’entusiasmo potrebbe aver favorito il contagio negativo del virus e dunque della depressione e
del lutto? «Ci sta. È passato un mese da quella partita. I tempi sono pertinenti.
L’aggregazione di migliaia di persone, due centimetri l’una dall’altra, ancor più associate nelle comprensibili manifestazioni di euforia, urla, abbracci, possono aver favorito la replicazione virale».

Che intende per “favorito”? «Intendo un’espulsione di quantità di particelle virali molto alta e la grande velocità dalle prime vie aree, bocca e naso. Stiamo parlando dell’enfasi collettiva di una partita storica, con molti gol. L’afflato di una tifoseria appassionata come poche. Devo immaginare che a quella partita siano andati quasi tutti, inclusi probabilmente asintomatici e febbricitanti».

Sta dicendo che potrebbe essere una delle concause dell’anomalia Bergamo? «Potrebbe essere».

Una follia giocarla a porte aperte quella partita con il senno di poi? «Ha detto bene, col senno di poi. All’epoca troppe cose non erano ancora chiare, a cominciare dall’enorme diffusibilità di questo virus. Oggi sarebbe impensabile. Infatti, hanno bloccato tutto».

(….)

Un messaggio finale ragionevolmente positivo? «Uno su tutti: è molto improbabile
che il virus possa vincere la battaglia con l’intelligenza umana. Stiamo dando, a partire dalla Cina, una prova di grande efficienza».

L’intervista completa sul sito del Corriere dello Sport