Coppa d’Africa: I quarti di finale

DOMINA L’AFRICA NERA, CON L’EGITTO COME INTRUSO PIUTTOSTO SCOMODO. ESCE DI SCENA UN’ ALTRA FAVORITA COME IL SENEGAL, RITORNANO IN AUGE I “LEONI INDOMABILI”.

 

 

Per quelli della generazione sorta alla fine degli anni ’70, avvicinarsi al calcio africano è stato piuttosto arduo, finchè non sono arrivati loro. I “leoni indomabili”, la nazionale del Camerun, che nel “nostro” mondiale, nel ’90, hanno terremotato i pronostici, sfiorando una clamorosa semifinale. I nomi dei vari N’Kono (idolo di Gigi Buffon), Kunde, Makanaki, Omam Biyik e Roger Milla sono diventati di dominio pubblico, perdendo quell’alone di stramberìa tipico di chi proviene dalle periferie del mondo, quelle etichettate più per mezzo di stupidi pregiudizi che per reale conoscenza delle stesse.

In questi ultimi anni, purtroppo, i leoni in giallo-verde sono stati ampiamente domati, nonostante un felino di razza come Eto’o li avesse degnamente rappresentati per più di un decennio sui campi delle big d’Europa. Una volta abdicato il re, forse il più grande della storia calcistica del continente, a Yaoundè e dintorni non si fremeva ardentemente per un risultato di prestigio in questa Coppa d’Africa in salsa gabonese.

Hugo Broos ha faticato molto a costruire una nazionale quantomeno presentabile nelle intenzioni. La solidità del gruppo ha fatto il resto, un gruppo che può sempre contare su un santone come Milla, il quale non si tira mai indietro nel pronunciare una parola di conforto o di sprone per una nazionale di cui lui è icona immortale. Una squadra pratica, fisica, che concede poco alla platea ma anche agli avversari. Il Senegal, ottimo nella prima fase, si è incagliato nello scontro fra “leoni”. Quelli del Teranga salutano la competizione ancora scornati e delusi, puniti dal giocatore più rappresentativo, Sadio Manè, il cui errore dal dischetto si è rivelato alla fine della conta decisivo.

Ad attendere il Camerun, ci sarà il Ghana di Avram Grant, altra compagine che fa della compattezza e dell’organizzazione il suo credo. Contro il Congo sono andati a segno i fratelli Ayew, figli di quell’Abedi che ha cointribuito, assieme proprio al Camerun di più di vent’anni or sono, a spingerci oltre le frontiere del conosciuto, per abbracciare calcisticamente un altro continente. Le “Black Stars”, una volta ritrovati i due attaccanti di Swansea e Aston Villa, potrà contare su un gioco molto più verticale votato alla profondità. Nella prima fase, i ragazzi di Grant hanno sfoggiato un buon possesso di palla unito a un ottimo coefficiente di impermeabilità difensiva. Ma la manovra risultava a tratti stucchevole e monocorde, soprattutto a basso ritmo. Con i due Ayew, oltre ad un Atsu in grado di spaccare la partita, il tassametro gira più vorticosamente.

Il Burkina Faso, già nel recente passato finalista (nel 2013 contro la Nigeria), punta al colpaccio, grazie a due protagonisti inattesi ma al tempo stesso altamente credibili. Nel racconto di questa Coppa d’Africa, il Burkina Faso rappresenta una realtà pari a nazioni come il Togo e la Guinea Bissau, nazioni dove i conflitti interni e l’alto tasso di mortalità infantile sono il loro drammatico biglietto da visita. A Ouagadougou si smania per il calcio, grazie ad una figura iconica come Pitroipa, ma sono altri i primattori di questo autentico miracolo sportivo. Come Prejuce Nakoulma, svincolato dal Kayserispor, che si aggrappa alla speranza di poter portare gli “stalloni” su sentieri mai percorsi, per ottenere l’immortalità e possibilmente un contratto con un club. Come Bancè, il cui gol contro la Tunisia ha fatto scatenare il delirio in tutto il paese, mentre la sua esultanza aveva un non so che di liberatorio e rabbioso.

Ad attendere i burkinabè, l’Egitto dell'”hombre vertical”, al secolo Hector Cuper, che sta ricostruendo alla grande la sua credibilità calcistica dopo anni di oblio. I “faraoni”, con tre vittorie di fila col minimo scarto (e la porta inviolata…), hanno guadagnato il pass per le final-four della competizione. Una competizione che li vede in testa per numero di vittorie e che potrebbe laurearli nuovamente sovrani incontrastati. Loro, unica compagine non appartenente all’Africa nera, contro le falangi armate sub-sahariane. Le parate di El Hadary e le fiammate di Salah come marchio di fabbrica, un collettivo solidissimo come “conditio sine qua non”, dato che a livello di talento complessivo non siamo proprio messi benissimo. A bassi ritmi, egiziani favoriti, a maglie larghe, occhio al contropiede degli “stalloni”, che dragano il campo con incedere imperioso.