Il suo “Andiamo a vincere”, gridato più volte con la voce che man mano mutava diventando a tratti più roca, poi profonda, fin quasi gutturale, ce lo ricordiamo tutti.
I suoi erano dei quadri epici più che delle telecronache; ti portavano direttamente all’interno dell’evento che stava raccontando.
Quasi ti faceva sentire addosso gli schizzi provocati dalle potenti e ritmate remate dei fratelli Abbagnale; del resto il canottaggio era stato il “suo” sport in gioventù, come il fisico imponente mostrava, ed anche con risultati eccellenti (campione italiano singolo nel 1967).
Lo stesso fisico che gli permetteva di forzare qualunque blocco, arrivando a tu per tu col giocatore di turno, fin dentro gli spogliatoi, dei quali fu uno dei primi a scardinare l’inviolabilità.
Inarrivabili le sue interviste a caldo sul terreno di gioco, quando alla fine delle gare, od al termine del primo tempo, abbrancava il protagonista di turno, mettendoselo letteralmente sottobraccio e carpendone l’umore, senza filtri, senza sovrastrutture.
La genuinità, l’improvvisazione, mai derivante dall’impreparazione, beninteso, ma figlia del suo carattere da romano impertinente, era il suo cavallo di battaglia, la sua arma in più.
Non aveva le battute sagaci di Beppe Viola né la precisione di Sandro Ciotti, ma sapeva cogliere l’attimo, il momento propizio per catturare la notizia, per sviscerare il succo dell’evento, e non solo nello sport.
Giampiero Galeazzi l’unico vero erede di Paolo Valenti
E’ stato probabilmente l’unico vero erede di Paolo Valenti nella conduzione di Novantesimo Minuto, trasmissione che prima aveva contribuito a far crescere con i suoi interventi dall’Olimpico, con alle spalle gli spalti popolati da qualche sporadico tifoso voglioso di farsi vedere in tv, stile Luigi Necco.
Il tennis, suo altro amore, gli deve uno spicchio di notorietà in epoche meno felici di quelle attuali per i nostri colori; le sue chiacchierate con Panatta non erano paragonabili ai commenti tecnici e forbiti della coppia Tommasi-Clerici ma ti catapultavano in mezzo all’erba di Wimbledon o sulla terra rossa del Foro Italico. Proprio da li si mosse all’improvviso, cambiando la sua personalissima scaletta lavorativa il 14 maggio del 2000 per entrare dentro al campo, in mezzo alla folla trepidante e poi festante in occasione del secondo scudetto della Lazio, la sua squadra del cuore, unico cronista Rai presente nel vivo di uno dei finali di campionato più concitati ed inaspettati dell’intera storia del nostro calcio.
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“Bisteccone” era così; personaggio mai banale, sempre un puntino sopra le righe ma senza mai esagerare, senza mai trascendere nel trash, nella volgarità.
A 75 anni il diabete lo ha piegato, senza spezzarne il ricordo, indelebile, che resterà per sempre in chi ne ha condiviso almeno qualche minuto, orecchio incollato alla radiolina o davanti alla televisione, fremendo sulla poltrona come se quell’Olimpiade, quel Mondiale, quella vittoria esaltante fosse un po’ anche la sua.
Ora “andiamo a vincere”, “andiamo a vincere”, Giampiero!