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Milan-Betis

IL “GRAN RIFIUTO” DI PAOLO MALDINI

Nel calcio barnum formato 2.0, il cordone ombelicale che ci tiene ancorati alla sua dimensione più artigianale e romantica è sicuramente incarnato da alcune figure che portano come seconda pelle i colori del club di appartenenza. Nonostante l’ingerenza di procuratori e fondi d’investimento, alcuni dei quali di dubbia moralità, è bello vedere che certi valori riescano a prescindere da tutto quel “pout-pourri” economico che sta caratterizzando le nuove vie del football.

Sia ben chiaro, ben vengano gli investitori seri, purchè corredati da competenza e buon senso; in tal caso è importante “entrare culturalmente” nella dimensione del club per capirne usi, costumi, regole e soprattutto la storia.

Il lavoro che sta conducendo l’a.d. in pectore Marco Fassone è sicuramente importante, traghettando la Sino-Europe e i suoi ingenti capitali in una nuova realtà come quella di una società di calcio, il cui fatturato è strettamente legato a elementi aleatori e puramente emozionali. Il prodotto non lo si tocca materialmente con mano, ma lo si porta nell’animo, per questo investire nel mondo del calcio (e dello sport in generale) è totalmente differente.

Il “Gran rifiuto” di Paolo Maldini appare agli occhi di un appassionato, figuriamoci di un tifoso milanista, come un’occasione persa. Per entrambi.

Una figura come l’ex capitano di mille battaglie sicuramente avrebbe meritato maggior considerazione e rispetto da parte della futura proprietà; non può non risultare condivisibile il suo punto di vista, legato alla bontà dei futuri investimenti e alla ricerca di un dialogo con i futuri investitori.
Non tanto per indagare sulla validità del progetto Milan, anche perchè su quello avrà già pensato chi sta più in alto di lui, decisamente più aduso al mondo dell’alta finanza.
Ma da un punto di vista tecnico, logico che volesse ricoprire un ruolo tutt’altro che rappresentativo, al contrario del vari Nedved e Zanetti che rivestono un’immagine più iconica che operativa nelle loro società.

L’errore fatto dai cinesi, probabilmente è legato al loro condurre ogni sorta di trattativa trascendendo ciò che di simbolico può essere incarnato da alcuni personaggi. Della serie, Maldini ha detto no? Ci sono pur sempre i vari Baresi, Ambrosini, Nesta e via discorrendo…
Ma Maldini è un caso a parte, per cultura (più di vent’anni fa parlava già un’inglese fluente, cosa non da poco), immagine e soprattutto per ambizione.

Quell’ambizione che forse non gli ha fatto considerare la situazione da un’altro punto di vista , quello dell’apprendimento.
E qui sta l’errore di Paolo.
Per quanto il suo cuore sanguini rossonero, proprio per amore del club che lo ha cresciuto e che ha alimentato la sua leggenda di calciatore, sarebbe stato meglio partire più a fari spenti. Con maggiore umiltà, dato che alla distanza le sue qualità sarebbero sicuramente emerse. Come quell’imberbe ragazzino messo in campo dal barone Liedholm nel gelo di Udine, che scese in campo con gli scarpini di una misura più piccola, ma iniziò subito a danzare sulle punte col piglio del predestinato, smentendo in breve tempo chi gli dava del “figlio di papà”.

Sembra che ormai il discorso sia chiuso fra le due parti, e francamente ci rimane parecchio amaro in bocca. Per un’amore finito male 7 anni fa al momento del ritiro, e senza nessuna possibilità di ricucire lo strappo.

In Uruguay, per riallacciare un rapporto ormai logoro si usa dire “Tuya Hector”. Non vi stiamo a dire l’origine della cosa, ma sarebbe bello che almeno una volta si tramutasse in “Tuya Paolo”.