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Chiedimi chi era Gianni Brera

Nelle prime ore di venerdì 19 dicembre 1992 faceva freddo nel Lodigiano. Degli amici tornavano a casa da una cena conviviale, una come tante sotto le feste natalizie. Nei pressi di Codogno, un’automobile partita da quella cena fu coinvolta in un brutto incidente. Il guidatore ed i due passeggeri morirono dopo che un’altra macchina, per la troppa velocità, andò nella loro corsia centrandoli in pieno.

Davanti alla morte siamo tutti uguali, ma il passeggero posteriore dell’auto centrata non era un personaggio qualunque in quell’Italia che si apprestava a finire uno degli anni più bui della sua storia. Trovò la morte la penna più sagace, intelligente e pungente della storia del giornalismo nazionale: Giovanni Brera, ai più noto come “Gianni”.

Moriva su una statale della sua amata Lombardia un esempio di giornalismo, sportivo e non, che ha fatto scuola prima e, soprattutto, negli anni a venire. Aveva 73 anni, lasciava la moglie, tre figli in età adulta e sei nipoti.

La notizia della sua morte colpì molto gli italiani, in particolare quelli che seguivano il calcio e che pendevano dalle sue labbra, anzi dalle sua dita, quando scriveva a macchina con la fedele “Olivetti”.

Pavese di san Zenone Po, dopo aver giochicchiato a calcio in età giovanile, si buttò a capofitto nella scrittura per poi intraprendere la carriera giornalistica. Scoperto giovanissimo da Bruno Roghi, un grande del giornalismo italiano post bellico, nel 1949 divenne, a trent’anni, condirettore della Gazzetta dello Sport con Emilio de Martino e poi direttore della stessa rosea dal gennaio 1950 al novembre 1954, il più giovane di sempre. I suoi primi articoletti li scrisse ad appena sedici anni e si capiva già allora che aveva stoffa da vendere: un predestinato.

La firma di Brera, negli anni successivi, apparve su il Giorno, ancora editorialista alla “Gazzetta”, il Guerin sportivo, il Giornale e La Repubblica. Oltre al calcio, Brera era un amante del ciclismo, dell’atletica leggera, del buon cibo e del buon vino.

Non particolarmente alto e slanciato, aveva sempre in bocca una pipa che lo rendeva un personaggio fuori dal tempo, ma al tempo stesso unico ed inimitabile.

Brera era maestro di scrittura ed un esempio per chi volesse diventare un giornalista. Venne anche definito uno scrittore prestato al giornalismo, in quanto in carriera ebbe una verve nello scrivere non solo sui quotidiani, ma anche nella stesura di romanzi, biografie romanzate, saggi storici e pièce teatrali.

Al Gioann era un padano purosangue (nel senso territoriale del termine) e fu sempre legato alla sua terra (che diatribe con Gino Palumbo!). Detestava il sistema WM inglese, il calcio totale olandese e chi seguiva il calcio senza capirlo.

Brera era noto per i soprannomi e per il suo lessico ricercato che ancora oggi è utilizzato anche in settori non calcistici: dall’abatinoRivera al contropiede; da rombo di tuono Riva alla dea Eupalla; da Bonimba Boninsegna alla melina; dal piscinin Franco Baresi alparticipio passato del verbo correre Corso; dal Pelè bianco Cruijff ai termini centrocampista e contropiede. Ma anche uccellare,goleador e pretattica, deltaplano Zenga, cavalier Berlusconi o puliciclone Pulici.

E proprio scrivendo di Gianni Rivera che Brera divise l’opinione pubblica: Brera considerò il “golden boy” un mezzo giocatore, gracile e che non contrastava l’avversario, definendolo anche “il mio eroe negativo”. Eppure il giornalista lombardo amava Rivera e tra i due c’è sempre stato amore e odio.

Brera stravedeva per Piola, Riva, Burgnich, Facchetti, Picchi, Rocco, Bearzot, Trapattoni, il calcio difensivo all’italiana ed il suo contropiede, mentre mal sopportava il calcio totale, il calcio d’attacco, gli oriundi, Helenio Herrera, il calcio business degli anni Ottanta e un Paese che non concepiva come importanti la sportività ed il fair play. Nel suo concetto di calcio, la partita perfetta doveva concludersi sullo 0 a 0 ed il gol era “un gesto atletico sublime e vincente” ma che rimane “un errore per chi lo subiva”.

L’opera più famosa del più grande giornalista sportivo italiano è stata “Storia critica del calcio” edita da Bompiani nel 1975, un libro non più in commercio che ogni biblioteca e comune cittadino tengono stretti come se fosse una reliquia. E molti ricordano ancora le sue partecipazioni televisive a “Il processo di Biscardi” ed alla “Domenica sportiva”.

Brera purtroppo è morto troppo presto. Chissà cosa avrebbe pensato, scritto e detto di questo calcio e di tutti gli scandali successivi alla sua morte. E chissà quale altre parole avrebbe coniato e quali soprannomi avrebbe dato. Chissà come si sarebbe destreggiato sui social network, su Twitter in particolare.

Alla memoria del Gioânn sono state intitolate l’Arena civica di Milano, la prima casa delle due squadre di Milano, un premio dedicato allo “sportivo dell’anno” ed torneo di calcio giovanile.

In questi anni non si è trovato un erede di Gianni Brera: molti giornalisti hanno preso spunto da lui, ma come lui non ci potrà essere nessuno. Perché di Gioannbrerafucarlo possono esserci solo imitazioni: nessuno è mai stato amato ed odiato come lo è stato lui, nessuno sarà mai come Gianni Brera, un uomo testardo che ha dato tanto a tutti i suoi fan lettori, che dal 19 dicembre 1992 sono diventati, senza mezzi termini, “senzabrera”.

Grazie di tutto Grangiuàn. Già ti immaginiamo mentre guardi una partita di calcio con la tua pipa, scrivi con la tua “Olivetti”, mentre conii l’ennesimo neologismo nel tuo “club del giovedì” riportandolo nel tuo “Arcimatto”.

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