Gli apostoli del “nordismo” calcistico spazzati via della Champions League
Una delle antenate della Coppa dei Campioni, o Champions League che dir si voglia, era la Coppa Latina. Sublimava l’eccellenza del calcio mediterraneo, assolato, ricco di classe e colore, dove l’Italia recitava da primattrice. Il carnet delle semifinaliste dell’odierna Champions è di marca squisitamente latina, seppur eterogenea per costituzione e DNA. Abbiamo il Real Madrid multistellato e campione in carica, il Monaco che unisce classe a organizzazione, l’Atletico del “Cholismo” e infine la Juve, che è una summa di quanto appena descritto.
Il Barcellona ha chiuso il suo ciclo, già pronto dalla prossima estate a imbastirne un altro, il Bayern – al di là degli errori di Kassai – ha reso monche le Final Four, uscendo in una sorta di finale anticipata contro un Real spesso incontenibile, il Leicester ha completato la “Brexit” del football d’Albione.
Il football mediterraneo, fatto di stile e organizzazione detta legge in Europa
Iniziamo a parlare proprio delle Merengues, con Zidane ancora da inquadrare come tecnico ma sicuramente monumentale nella gestione delle proprie risorse umane. E con uno spogliatoio del genere oggettivamente la cosa non era poi così scontata. Dopo le festività natalizie, la squadra si era un pochino smarrita, anche perchè gli infortuni avevano iniziato a pesare non poco sul rendimento in campionato.
Ma quando sentono aria d’Europa, i blancos iniziano a regolare il minimo verso l’alto, e la prestazione contro il Bayern ha confermato che se si vuole portare a casa la “coppa dalle grandi orecchie” bisogna fare i conti col miedo escenico, che non necessariamente attanaglia le gambe degli avversari. Cristiano Ronaldo attualmente è al top del rendimento rispetto alla concorrenza, si è ripreso alla grande dall’infortunio che lo ha privato della finale europea con la sua Nazionale, e soprattutto è sempre più trascinatore di una squadra che sta recuperando i suoi uomini migliori. Zizou ha in mano un parco giocatori ineguagliabile, e se riesce a farne liberare il talento per gli avversari si fa durissima. Unico neo, la fase difensiva, dove spesso ha patito le transizioni dei bavaresi.
Ennesima prova di forza del Cholo
Rimanendo a Madrid, spostiamoci sul versante colchonero, con l’Atletico che meno di tutte ruba l’occhio, meno di tutte regala spettacolo, ma anche spazi agli avversari. Il Cholismo come marchio di fabbrica spesso, e non del tutto a torto, etichettato come Anticalcio. Più facile trovare una via mediana nell’analisi di una squadra che in prima linea non difetta di qualità, fra i vari Torres, Griezmann e Saùl. Gioca prevalentemente sull’avversario, incollandosi a lui e sfiancandolo a livello cerebrale. Chi detiene il possesso tende a rinculare, Gabi e suoi pretoriani sentono l’odore del sangue e iniziano a guadagnare metri per rubare palla e verticalizzare.
Le maniere talvolta sono un po’ troppo spicce, ma i risultati danno ragione a Simeone, che con un organico differente magari proporrebbe altre strade. Con questo materiale sa di poter sviluppare un’idea precisa di gioco, ma senza la qualità dei finalizzatori sarebbe impossibile coltivare sogni proibiti. Quantità e garra al servizio della qualità. Come avversario, di certo il più ostico, se guardiamo il calcio dalla lavagna.
Il capolavoro Monaco
A Montecarlo, Rybolovlev e Mendes hanno costruito un capolavoro. Con i talleri del primo e la competenza/influenza del secondo abbiamo ritrovato una realtà che sembrava sparita dai radar del calcio europeo. Il Monaco ha già assaggiato il sapore della finale, e nel 2004 è stato piuttosto greve. Si spera che Cardiff abbia fragranze più abboccate, e questo dipende da Jardim, allenatore che sta portando avanti il Verbo che dal Portogallo in questo secolo vanta parecchi profeti. Organizzazione, certo. Classe, of course. Programmazione, ecco svelato l’arcano.
Al contrario degli spocchiosi parigini, il Monaco ha deciso di valorizzare meglio la nouvelle vague, e l’esplosione di Mbappè è l’ultimo capitolo di una storia che è partita da Ranieri quando i monegaschi brancolavano in Ligue 2. Da Ocampos, passando per Kondogbia, James Rodriguez, Kurzawa e finendo con il “nuovo Henry”, di cui ricorda le movenze e il talento grezzo. E’ la variabile impazzita di queste semifinali, ma l’inerzia è dalla sua parte.
Champions League, l’impresa di Allegri
Chiudiamo con la Goeuba, che ha posto fine al ciclo del Barça mantenendo inviolata la propria porta. Già di per sè un’impresa, ma se guardiamo al percorso della Juve post-Firenze, con l’introduzione del modulo pentastellato, si nota che la squadra ha trovato i suoi equilibri senza scalfirne la qualità. Molti soloni hanno sproloquiato a vanvera dopo il pareggio di Napoli. Invece Allegri ha fatto le prove per la bolgia del Camp Nou, allestendo una Juventus equilibrata e capace di soffrire, Non un minus, ma di certo un plus se si vuole centrare il bersaglio grosso. Ha il vantaggio di avere chiuso a suo favore con largo anticipo ogni discorso in chiave interna, ora c’è l’Europa a solleticarne il palato insaziabile. Per chi scrive, è dietro solo al Real nel borsino delle pretendenti al soglio europeo. Ma di un’incollatura, che Allegri sa come colmare.