C’erano una volta i Presidenti tifosi. Quei Presidenti tosti, appassionati, che in più di qualche caso hanno dovuto lasciare la proprietà delle squadre proprio per un indebitamento frutto della voglia di portare quei colori e quella bandiera più in alto possibile. Oggi, lo sappiamo bene, il calcio non è più quello di una volta: cambia la tecnica, cambia la tattica, ma soprattutto cambia la gestione delle società, ormai diventate un vero e proprio business. I magnati del calcio, dopo aver fatto tappa in vari Paesi del vecchio continente, pian piano si affacciano anche in Italia, rilevando società importanti e che spesso provengono da realtà completamente distanti da noi, sia geograficamente che sportivamente.
In pochi, solo fino a qualche anno fa, avrebbero soltanto potuto lontanamente immaginare che la Roma sarebbe finita in mani americane, con James Pallotta Presidente, e che l’Inter avrebbe portato il marchio Indonesiano, frutto della presenza sulla poltrona più importante di Erick Thohir. Già, la Roma e l’Inter. I giallorossi registrano due gestioni fatte di passione e di amore, come quella di Dino Viola negli anni ’80 e di quella di Franco Sensi negli anni ’90. L’Inter, addirittura, è stata come ‘una di famiglia’ per la dinastia Moratti, passata dai successi del papà Angelo, sotto la cui guida nacque la grande Inter, al triplete del figlio Massimo. Più di un business, quindi, per molti dei Presidenti che hanno fatto la storia del calcio tricolore, per i quali la squadra di calcio ha rappresentato una vera e propria passione irrefrenabile, primi tifosi, primi a gioire in caso di vittoria e primi a soffrire quando le cose non andavano nel verso giusto.
Un altro personaggio che ha sempre dichiarato la propria passione e fede calcistica e che ha fatto divenire il calcio questione di famiglia è Silvio Berlusconi. Le polemiche in questo senso non sono mai mancate, c’è chi lo ha attaccato definendolo tifoso interista, ma l’ex Cavaliere ha difeso con le unghie e con i denti la propria fede rossonera, testimoniata dal fatto di non aver mai abbandonato, al di là delle formule ufficiali, la Società, facendole vincere tutto nel mondo e creando tuttavia la strada alla figlia Barbara come naturale successione alla guida del Diavolo. Anche Sergio Cragnotti, patron della Lazio che nei primi anni 2000 vinceva tutto o quasi, all’inizio della sua presidenza non si definì grandissimo tifoso biancoceleste, ma ammise che la decisione di rilevare la Società nata il 9 gennaio del 1900 fu fortemente condizionata in positivo dal fratello Giovanni, grande tifoso laziale.
Zdenek Zeman, uno che di panchine ne ha passate e di Presidenti conosciuti, in merito a questo argomento ebbe a dire: “Sono convinto che prima di tutto un Presidente debba essere tifoso della squadra”. Fin qui i casi più eclatanti, la passione nelle grandi città pallonare italiane. Tuttavia non vanno dimenticate altre grandi figure, se non come veri e propri tifosi ma per la loro simpatia, schiettezza e fama popolare, come i ‘Presidentissimi’ Costantino Rozzi e Romeo Anconetani, che fecero rispettivamente le fortune dell’Ascoli e del Pisa. Immagini sbiadite di un calcio lontano, forse più vero, sicuramente più appassionante.