C’era una volta il numero 10

388

 

Roberto-Baggio

Il numero 10 è uno di quelli più pesanti da portare. Il peso di una maglia che conta e che simboleggia l’uomo in più di una squadra, quel giocatore che con una sola giocata poteva farti vincere la partita e regalarti i tre punti. Sono ben impressi nei tifosi italiani le pennellate dei vari Roberto Baggio, Dejan Savicevic, Alex Del Piero o Roberto Mancini; giocatori di un altro pianeta, che infiammavano le folle e che al toccare della palla erano sempre accompagnati dalle urla stupite del pubblico. Ora, a distanza di qualche anno, ci troviamo di fronte ad un’evoluzione del numero 10 per eccellenza. Da giocatore simbolo di una squadra, il 10 si è trasformato in semplice “gregario”, uno di quelli in grado di fare buone cose ma non magico e unico come il 10 di una volta.

Basta scorrere le rose della serie A per capire che, a parte l’eterno Francesco Totti e l’Apache Carlitos Tevez, le altre squadre del nostro campionato sono prive di un campione con la C maiuscola con addosso la numero 10. Il Milan è l’esempio più lampante di questo cambio di rotta, con la maglia che fu dei vari Savicevic, Boban e Seedorf, che è finita sulle spalle di Keisuke Honda, giocatore sì di buone qualità, ma che indossa la numero 10 solo e soltanto per puro scopo commerciale. Ma oltre al giapponese ci sono i vari Kovacic (Inter), Ederson (Lazio) e Kristicic (Sampdoria), altri esempi che dimostrano che il ruolo del numero 10 è cambiato e che praticamente non esiste più.

Le eccezioni, come già accennato, si chiamano Totti e Tevez; gli unici due veri fuoriclasse con indosso la pesante maglia numero 10. Uno, che come il vino più invecchia e più diventa buono, l’altro arrivato in Italia da ribelle e diventato autentico uomo spogliatoio della Juventus. È nei gol di Totti e Tevez che regna ancora la “bellezza” del numero 10. Una bellezza che ad oggi appare sbiadita, sfocata e triste, proprio come il nostro calcio italiano.

 

foto tratta dal web