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C’era una volta Gazza

Gascoigne, tutto genio e… sregolatezza

Nel calcio ci sono due tipi di giocatore: quello che si è affermato e quello che poteva affermarsi ma che non ce l’ha fatta. Paul Gascoigne da Gateshead, nord-est inglese, rientra a pieno titolo nel club di quelli che “potevano ma…”. Classe 1967, si fece conoscere con la maglia del Newcastle United per poi affermarsi con il Tottenham di Terry Venables in panchina con Erik Thorstvedt in porta, Chris Waddle a centrocampo e Gary Lineker in attacco.

Centrocampista molto talentuoso, Gascoigne è stato uno dei giocatori più interessanti del panorama inglese a cavallo tra gli Eightiese i Nineties. E giustamente arrivò a giocare in Italia: Sergio Cragnotti lo portò alla Lazio dove, tra luci e ombre, giocò tre stagioni dove si fece notare più per le gesta sopra le righe che per i gol (sei in 47 partite, con il gol del pareggio nel derby di andata del 29 novembre 1992).

Dopo la parentesi biancoceleste, “Gazza” militò per tre stagioni nei Rangers Glasglow (dove vinse due titoli, una Coppa scozzese, una Scottish League Cup) e nel Middlesbrough, due anni nell’Everton e poi le fugaci parentesi con Burnley e Boston United, con l’intermezzo cinese del Gansu Tiamna. Insomma, una carriera come tante di tanti altri giocatori, senza squilli e con tanto talento sprecato.

Ma il Gascoigne-calciatore ha dovuto combattere tutta la vita contro un altro Gascoigne, quello problematico ed alcolizzato. Fin da quando era minorenne, l’ex giocatore inglese ha sempre avuto problemi vari, fino ad arrivare negli ultimi dieci a destare molta preoccupazione per la sua salute: l’alcolismo, unito a tanti (troppi) problemi psichici, lo ha portato molte volte ai ricoveri in ospedali ed in cliniche, soggiorni carcerari, tentando molte volte il suicidio. Una vita borderline, unita ad arresti, depressioni, umiliazioni e tanta solitudine.

Paragonato a George Best (e non per le capacità calcistiche), Gascoigne ha sempre voluto che la sua vita non si spegnesse come quella dell’ex attaccante del Manchester United, morto undici anni fa per un’infezione epatica dovuta all’alcol.

Dopo un periodo di quiete, una mattina dello scorso luglio è stato trovato magrissimo, smunto, con indosso un accappatoio beige, scalzo, fotografato mentre scendeva da un taxi con in bocca una sigaretta spiegazzata. Uno spettacolo infelice nel vedere come si era ridotto uno dei più promettenti giocatori inglesi, uscito in quelle condizioni di casa per comprare le sue “droghe”: gin e antidolorifici.

Non sta a noi dare consigli a “Gazza” su cosa debba fare e non debba fare della propria vita, non sta a noi decidere per lui perché è tutto nelle sue mani. Negli anni ha perso amici e tutte quelle persone che potevano aiutarlo a superare questa situazione, ma i suoi comportamenti successivi ai ricoveri (e alle sedute psichiatriche) hanno indotto tutti quelli che gli stavano accanto ad abbandonarlo. E per uno nelle sue condizione, l’abbandono è la cosa peggiore.

Non potremo salvarlo, ma una cosa gli possiamo suggerire (se mai leggerà questo articolo): “Gazza”, a noi piacerebbe vederti ancora giocare come quando vestivi le maglie del Tottenham e dei Rangers, con le quali ti sei tolto le maggiori soddisfazioni. E vorremmo ricordati per quello che sei stato: la promessa 23enne che per un ammonizione perse la possibilità di giocare la finale di Italia ’90, piangendo poi a dirotto e l’affermato 29enne che il 15 giugno 1996 segnò un grandissimo gol alla Scozia nel girone eliminatorio di Euro ’96. Quel giorno, a Wembley, con un grande destro al volo, dopo aver fatto un “sombrero” a Colin Hendry fuori dall’area di rigore, hai fatto sognare un’intera Nazione che sembrava tornata ai fasti del Mondiale di trent’anni prima.

Italia ’90 e Euro ’96, dalle “Notti magiche” al “Football coming home”: Paul Gascoigne avevi l’Inghilterra ai piedi. Allora eri un Uomo ed un Giocatore, ora non sei più niente.

Venti anni dopo a terra ci sei tu. Speriamo tu possa alzarti al più presto, un’altra volta.

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