Quando il cambio di allenatore non giova

Panchina

A MILANO E’ INIZIATO IL TOTO-ALLENATORI PER RACCOGLIERE L’EREDITA DI DE BOER. MA SIAMO SICURI CHE SIA SUFFICIENTE PER RISOLVERE I PROBLEMI?

L’Inter naufraga a Southampton e dice quasi addio all’Europa dopo 4 partite. Un obiettivo stagionale quindi se ne va, salvo clamorosi miracoli. Ma a Milano si gioca un’altra partita, ben più cruciale; più che di partita sembra di assistere ad un casting, con 4 se non addirittura 5 candidati alla panchina più caliente d’Italia. In pole sembrava esserci Stefano Pioli, particolarmente indicato nel ruolo di “normalizzatore” e sponsorizzato dal comparto italiano dell’establishment nerazzurro. Ma Zhang Jingdong, ben spalleggiato dal pesce pilota Kia Joorabchian, predilige soluzioni di maggior appeal internazionale, e allora sotto con i vari Hiddink (il favorito a Nanchino e dintorni), Marcelino, Villas Boas e chi più ne ha più ne metta.

Ma siamo proprio sicuri che la scelta di un nuovo tecnico, per quanto necessaria, sia la sola condizione per risolvere i problemi? O le magagne stanno più a monte? Quello che stupisce nel caos in casa – Inter, ad esempio, è la totale improvvisazione che regna sovrana, figlia di una struttura societaria melliflua dove non si capisce bene chi debba prendersi le proprie responsabilità. Lo si è visto durante l’affaire-Icardi, con la sua autobiografia che ha creato un putiferio francamente evitabile, se qualcuno avesse monitorato meglio la cosa, dai vari Ausilio e Zanetti fino all’Ufficio Stampa.

Per non parlare della scelta di De Boer, estemporanea e mai difesa fino in fondo, come se il tecnico olandese vivesse in uno stato di precariato che di sicuro non ha giovato allo spogliatoio, già in difficoltà di suo nel mettere in pratica i dettami dell’ex-ajacide.

Per linee generali, non si può non mettere in evidenza che spesso gli allenatori si ritrovano fra le mani progetti talvolta sconclusionati. E la pazienza non sempre è stata prerogativa dei padroni del vapore. A pagarne lo scotto quindi è sempre il tecnico, più esposto, talvolta sovraesposto, e con colpe relative rispetto a chi spesso gli ha messo in mano un giocattolo con molti difetti. La vicenda De Boer è una perfetta summa di ciò, con l’allenatore a pagare per una squadra poco redditizia in campo e costruita senza che lui abbia avuto modo di metterci il becco. Ma di mea-culpa da parte dello staff dirigenziale non se n’è vista l’ombra.

E anche a Palermo, tanto per citare un altro ambiente avvezzo all’argomento, con un progetto tecnico in perenne fase di assemblaggio, il discorso non cambia. Rimproverare a De Zerbi lo scarso gioco è come sparare sulla croce rossa, con l’ex foggiano che, facendo a botte con la sua inesperienza, sta cercando quantomeno di dare un’anima ai suoi giocatori, complessivamente modesti salvo qualche eccezione. Ma Zamparini è sempre pronto col foglio di via, mentre occorre interrogarsi sull’effettiva competenza degli uomini mercato che hanno architettato il Palermo di questa stagione di sofferenza.

Cambiare allenatore in corsa quindi è un po’ come trovare la tessera del puzzle mancante su un marciapiede. Se ti va bene i risultati arrivano, ma spesso si tratta di soluzioni di emergenza per traghettare la nave in porto lontana sì dalle tempeste, ma anche da lidi aurei.