Puntare sugli italiani, pescare dalle categorie inferiori, valorizzare i giovani. Tanti buoni propositi, testimoniati dalle riforme sulle limitazioni alle rose iscrivibili in Serie A, ma smentiti alla pratica da sessioni di mercato che vedono i giocatori stranieri assoluti protagonisti, in modo eccessivo e spesso deleterio. Stranieri strapagati, arrivati nell’entusiasmo di tifosi che, nella gran parte dei casi, li hanno visti giocare pochissime volte ma semplicemente nulla possono di fronte al fascino esotico di un cognome che sembra fatto per essere stampato sulle maglie, decisamente più di un Saponara qualunque.
E’ decisamente il caso dell’Inter, storica regina del mercato oltreconfine. Tra i tanti acquisti estivi, spiccava il 22enne Geoffrey Kondogbia per compiere il salto di qualità verso la lotta al terzo posto e non solo: l’Inter in realtà può vincere il titolo, ma più “nonostante Kondogbia” che non grazie a lui. Siamo certi che il ragazzo sia giocatore dal sicuro avvenire (non v’è dubbio per chi, come me, lo ammirò nel Mondiale Under-20 vinto nel 2013 accanto a Pogba e Veretout nel centrocampo transalpino), piuttosto la perplessità sta nel ritenere che tifosi e forse società abbiano scambiato un mediano di rottura con eccelsi mezzi fisici e atletici, che difficilmente può giocare in un centrocampo con Melo e Medel, per una mezzala completa in grado di coniugare egregiamente la fase offensiva (quello nel Monaco lo faceva semmai Moutinho, ed è un velato consiglio per tutte le squadre di A). Il giocatore va valorizzato in altro modo, ma è quantomeno discutibile spendere 31 milioni + bonus travisandone le caratteristiche.
Discutibile almeno quanto l’acquisto di Montoya, in prestito ad un milione con diritto di riscatto fissato a 7: non abbiamo mai avuto dubbi che esistano in Italia, pur senza abbondanza nel ruolo, terzini validi e meno costosi di chi nel Barça ha collezionato appena 45 presenze in 5 anni nella Liga. Strano anche l’affare Jovetic: è sempre stato una seconda punta, quindi è difficile farlo coesistere con Icardi e Perisic e non sembra il profilo di giocatore utile nel turnover o quando c’è bisogno di cambiare modulo. Non ci sentiamo invece di bocciare gli acquisti di Telles, Melo e Perisic, pur forse sopravvalutati.
Più attenti al campionato nostrano Milan e Juventus. I primi fanno debuttare in A solo i due attaccanti Bacca e Luiz Adriano, sulla cui media gol (comunque positiva) influisce la pochezza dei centrocampisti atti a costruire palle utili per i due terminali. Luiz Adriano ha già pronte le valigie per regalare al Milan quantomeno una plusvalenza che, spera Bacca, possa contribuire all’arrivo di un faro a centrocampo più luminoso di cui anche il colombiano, solo a sprazzi quello di Siviglia, può beneficiare. La Juve, sempre mantenendo alto il numero di italiani e continuando mirabilmente a puntare sui giovani, ha messo mano al portafogli per stranieri come Mandzukic, Alex Sandro e Lemina. Indubbio il valore e l’esperienza del primo, da valutare la consistenza del terzo (per cui il diritto di riscatto è piuttosto alto, ma ad ora il prestito è gratuito), più che rivedibile invece la valutazione data dell’esterno brasiliano arrivato dal Porto (sempre abile ad ottenere il prezzo più alto possibile per i suoi gioielli). La sensazione, che magari verrà smentita nei fatti, è che 26 milioni siano davvero troppi per un giocatore che si avvicinava alla scadenza del contratto e che, almeno difensivamente, non sembra pronto per la Serie A e la maglia della Juventus, pur con sicuri margini di miglioramento.
Assodato in casa Roma che per 4 milioni più 9 per il riscatto, in Italia si trovava di meglio di Antonio Rudiger (19 presenze su 34 l’anno scorso allo Stoccarda), nei confronti del quale sembrerebbe di sparare sulla croce rossa (specie perché in casa c’era Romagnoli, giovane, italiano, talentuoso, pronto, prodotto del vivaio). Decisamente deludente l’apporto di Dzeko, arrivato a cifre comunque vantaggiose considerata la caratura del giocatore: la sensazione è che la sua mollezza concorra al suo scarso rendimento, principalmente dovuto, però, al (non) gioco della Roma di Garcia che in nessun modo valorizza la presenza di un attaccante con le sue caratteristiche.
Difficile giudicare l’apporto dei tanti giovani stranieri arrivati alla Lazio in estate: Milinkovic-Savic è l’unico stabilmente titolare, in ragione dei 10 mln spesi per il suo cartellino, pur in un ruolo, quello di trequartista, in cui non è abituato a giocare. Desaparecidos il canterano Patric e il talento inquieto Morrison; buon inizio in cui ha fatto intravedere le grandi promesse per il futuro per Ricardo Kishna, pur ai margini adesso per la concorrenza di Candreva e Anderson; grosse perplessità su Hoedt, il più impiegato di questi, sulle cui qualità va riservato un giudizio dopo averlo visto accanto ad un vero difensore di sicuro affidamento che possa guidarlo (vedi De Vrij).
Ha indovinato praticamente tutto il Napoli, tranne le scommesse dall’estero: Nathaniel Chalobah ha il profilo dell’ottimo talento, ma allora perché il prestito secco? Chiriches era arrivato per aggiustare una difesa sgangherata che invece ha trovato la sua stabilità con gli stessi interpreti della scorsa stagione grazie al lavoro di Sarri.
Tutto da sottoscrivere per la Fiorentina, che allo stesso modo ha un po’ toppato gli arrivi stranieri, fatta ovvia eccezione per Kalinic: smentite, per ora, le grandi attese intorno a Mario Suarez che paga gli equilibri tattici trovati da Sousa senza di lui. Solo sprazzi del miglior Błaszczykowski, complici i soliti infortuni. Fuori dai radar Gilberto e Verdù.
Insomma, lo straniero (specie dai campionati esteri) sembra pagare sempre di meno e se servono conferme, chiedere agli esempi opposti di Empoli e Verona: i primi sorpresa del campionato puntando sui giovani, sul settore giovanile e su ragazzi provenienti dalle serie inferiori, i secondi ultimi in classifica puntando su giocatori sul viale del tramonto (tantissimi peraltro) e scommesse estere dalla dubbia riuscita (Winck, Helander, Tupta, Souprayen).