Calcio business, tutto gira intorno al fair play finanziario

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Una volta era il pallone che rotolava sul prato verde. Ora il pallone rotola lo stesso, ma spinto da un business che intorno allo sport più bello del mondo trova linfa vitale e forse fa perdere più di qualcosa sotto l’aspetto del ‘romanticismo pallonaro’, a patto che ce ne sia ancora in giro. L’ormai famigerato fair play finanziario, introdotto dal Comitato Esecutivo UEFA nel 2009, non sembrerebbe aver sortito, almeno fino a questo momento, gli effetti sperati: estinguere i debiti della società di calcio, per guidarle ad una sorta di sostentamento economico autonomo. Diverse società negli ultimi anni hanno dovuto fare i conti con indebitamenti importanti, conseguenti ad operazioni in fase di mercato costosissime, per soddisfare il palato della tifoseria ed assicurarsi trionfi nazionali ed internazionali.

D’altronde, viviamo nei tempi dei grandi magnati che hanno investito nel calcio, vedi Roman Abramovic più di dieci anni fa per il Chelsea fino ad arrivare all’arabo Khaldoon Al Mubarak, padrone del Manchester City di David Silva e Sergio Aguero, e Nasser Ghanim Al-Khelaifi, milionario del Qatar e numero uno del Paris Saint Germain targato Zlatan Ibrahimovic ed Edinson Cavani. E l’Italia? Noi siamo ancora lontani da queste realtà, diremmo non competitivi. Da qualche tempo, comunque, anche nel calcio nostrano hanno fatto tappa Patron stranieri, come l’indonesiano Erick Thohir, a capo dell’Inter e James Pallotta, per una Roma a stelle e strisce.

Le società, dal canto loro, pensano a come poter rientrare di operazioni che a volte superano l’incredibile: lo stadio di proprietà può essere uno degli strumenti più efficaci. In Europa sono diverse le realtà che hanno fatto del proprio impianto sportivo una fonte di ricavi, sia per il nome della grande squadra che vi gioca, per i grandi trofei vinti ed esposti nei musei dedicati e per la possibilità di vivere lo stadio ogni giorno, basti citare, tra i tanti, il Bernabeu di Madrid, il Camp Nou di Barcellona e l’Old Trafford di Manchester. In casa nostra lo Juventus Stadium ha segnato una nuova epoca, anche se il tema dello stadio di proprietà risulta essere a queste latitudini uno degli argomenti più spinosi ed ingarbugliati che si ricordino, non solo a livello di istituzioni sportive. Anche gli sponsor recitano un ruolo di primissima importanza.

Se rimaniano nella Premier Inglese e parliamo di stadi, vediamo come su tutti spunta la sponsorizzazione raggiunta nel 2011 tra il Manchester City e la Etihad Airways: i Citizens, cedendo alla compagnia aerea i diritti per l’Etihad Stadium, riceveranno 150 milioni di sterline per i 10 anni successivi. Questo rappresenta l’accordo commerciale più ricco della storia del campionato inglese, superando i 200 milioni in 15 anni tra l’Arsenal e la Emirates, siglato nel 2006. Fortunatamente, però, emergono ancora due elementi che fanno ben sperare; uno è il fatto che non vince sempre la squadra che spende di più e un altro è la presenza costante del tifo, che rappresenta la parte più vera, più sincera del carrozzone calcistico. Finché ci sarà gente sugli spalti e nelle case che segue con amore e passione il pallone, ciò sarà garanzia di sopravvivenza di questo sport, al di là di freddi calcoli economici, di vendita di maglie ufficiali, di accordi e di sponsor che mai potranno sostituirsi alla gioia più grande, gonfiare la rete.