Avevo un compagno di Università che faceva cose incredibili. Si svegliava tutti i giorni a mezzogiorno, dopo l’ennesima sbornia della sera prima. Non perdeva un concerto rock per niente al mondo, quando ci organizzavamo per studiare in compagnia ci paccava quasi sempre optando per aperitivi e scorribande con la nuova fiamma di turno. Lo ammiravamo e lo invidiavamo: già, perché in tutto ciò noi per un 24 sul libretto ci facevamo un mazzo così, mentre lui leggiucchiava qualcosa nei tre giorni prima dell’esame e, con una faccia tosta mondiale, meno di 27 non prendeva mai. Non so dove sia finito, ma quando penso ai calciatori “maledetti” mi viene sempre in mente lui.
“Bad boys”, li chiamano oggi, ma più dell’etichetta è la scia di popolarità e fascino che lasciano dietro di sé a caratterizzarli e a renderli speciali. E qui è doveroso il primo discrimine: un calciatore che fa il “bad boy” nelle discoteche di notte e in campo non la vede mai è solo un pirla – per dirla alla Mourinho – che probabilmente ha avuto fortuna ma non riesce a dare valore nemmeno a quella. E’ una categoria di recente invenzione, frutto della folle medianicità dei nostri tempi per cui basta un colpo di tacco a trasformare un pirla, appunto, in una star.
Di tutt’altra pasta sono i “bad boys” come si deve, quelli che in prima pagina ci finiscono per i colpi di testa sentimentali ma anche e soprattutto per i colpi di genio calcistici. “Dove sarebbe potuto arrivare se avesse avuto un po’ di testa?” è la domanda che in ogni caso salta fuori quando si parla di un fenomeno dalla testa matta. Una domanda dalla risposta impossibile, perché impossibile è qualsiasi controprova. E’ chiaro che Gary Medel deve sudarsi fino all’ultima goccia ogni 6,5 che prende in pagella, mentre Antonio Cassano può anche sonnecchiare e accontentarsi ad un certo punto di alzare la testa, scovare un pertugio geometrico sul campo che solo un architetto noterebbe a palla ferma e mettere in porta l’attaccante con una magia da applausi.
Antonio Cassano – e tutti quelli come lui – può permetterselo, perché con il genio dentro ci è nato. Può essere irritante, certo, ma i suoi gol fanno registrare milioni di click su Youtube e vengono ricordati in quasi tutti i bar dello sport quando si parla di pallone. Delle diagonali di Medel, invece, poco rimane nelle fantasie dei tifosi. George Best, Diego Armando Maradona, Paul Gascoigne sono tra i più celebri, ma sono affascinanti anche quelli di provincia come Gianfranco Zigoni o Alviero Chiorri. Genio e sregolatezza, superbia dovuta a manifesta superiorità tecnica, presunzione di essere sempre e comunque i più bravi senza bisogno di fare le ripetute in salita come i compagni di squadra.
Loro, quelli “normali”, devono lavorare come muli per correre dietro agli avversari mentre a Zlatan Ibrahimovic basta uno ghigno malefico per far capire allo stopper di turno chi è il più forte. Alcuni condiscono il tutto con un parterre di fidanzate da oscar, altri preferiscono qualche rissa ogni tanto dopo troppe pinte di birra, ci sono quelli che non sopportano le tirate d’orecchi degli allenatori puntigliosi, così come non mancano i rancorosi a cui non importa di prendere un rosso per un fallo di reazione. Fatto sta che dagli schemi sono sempre fuori, in un modo o nell’altro. Lo sono per gli allenatori che devono fare gli straordinari per gestirne il talento, per i mass media che gongolano ogni volta che fanno notizia dentro o fuori dal campo, per i tifosi che ogni tanto si incazzano ma li venerano con occhi luccicanti dopo le rabone e i doppi dribbling in un derby.
“Chi ha il pane non ha i denti e chi ha i denti non ha il pane”, dice chi conosce un po’ la vita. I “bad boys” lo sanno, ridono di gusto e dagli schemi continueranno inesorabilmente a uscire come i marziani, per la gioia di noi esseri umani.