Le confessioni di Alessandro Nesta
Alessandro Nesta, ex stella del Milan e della nazionale italiana, rilascia una lunga intervista ai microfoni del Corriere dello Sport.
Ritorno al passato
“In primo luogo mi manca mia madre. Mio fratello. A Roma sono cresciuto, mi manca Roma, la sua anima, i suoi colori, la passeggiata al centro. Quando torno l’apprezzo ancora di più, rispetto a quando ci vivevo. Adesso sono più di dieci anni che sono fuori, ma quando torno mi sembra di non essere mai andato via. Abitavo a Cinecittà e prima non c’era la PlayStation, non c’era l’iPad, non c’erano le partite su Sky, in verità non c’era niente, perciò giocavamo a calcio sotto casa, partite che non finivano mai. C’era solo quello allora, non c’era tennis, tanto meno piscine per il nuoto, non c’era nessun altro sport e come tutti i bambini giocavo a calcio. Poi sono andato nella squadra del mio quartiere a Cinecittà, che era collegata alla Roma. Ma la mia famiglia era laziale e mio padre lo era in modo molto convinto, per usare un eufemismo. La Roma mi voleva e c’era stata un’offerta per andare in giallorosso. Ma scattò il veto biancazzurro di papà e così ho preferito aspettare la Lazio. Perché era così che doveva andare. Il tutto quando avevo 7 anni, poi feci un provino ed entrai a far parte della Lazio all’età di 8 anni. Con i soldi ho avuto l’opportunità di aiutare la mia famiglia ed è stata la prima cosa che ho fatto, sarò per sempre grato a mio padre”.
Su Totti
“Il primo incontro fu in un Lodigiani-Lazio. Avevamo otto anni. Ricordo che nella capitale, quando eravamo piccoli, Totti era già Totti, a otto anni. Perciò tutti già sapevano quanto fosse forte. Eravamo già capitani delle nostre squadre. Poi io allora giocavo a centrocampo. Lui era numero 10 già a otto anni e ricordo che in tutte e due le partite nelle quali ci siamo affrontati lui rompeva le scatole, calcisticamente. Era fortissimo. Ritiro? Credo che quel momento arrivi per ciascuno. E credo che anticipare tutti da parte del giocatore sia la cosa migliore da fare. Quando si sente che il corpo non va più come prima e c’è un po’ di perplessità da parte della società, allora è meglio anticipare tutti. Decidere da soli, non far decidere ad altri. Se l’avessi davanti gli farei i complimenti. Alla sua età è ancora competitivo, cosa rara”.
Il no alla Juventus
“Rifiutai la Juventus perché non volevo andare via dalla Lazio. Io non mi vedevo fuori da quella società, da quella squadra, non ero pronto a prendere la valigia e lasciare quello che era stata fino ad allora, almeno calcisticamente, la mia vita. Io avevo giocato solo lì e pensavo che avrei finito alla Lazio. Due anni prima ero stato richiesto dal Real Madrid e avevo rifiutato. Oggi se ci penso… Però il destino mi ha premiato e sono finito al Milan, quasi costretto. Ma oggi ringrazio Dio: ho vinto quello che ho vinto, sono stato meravigliosamente a Milano. Ma andare via dalla Lazio e da Roma è stato comunque come strappare delle radici, profonde”.
Su Ancelotti
“È il tecnico con cui mi sono trovato meglio. L’ ho avuto otto anni e per me è stato un allenatore importantissimo. Ci ha fatto vivere bene il calcio e ci ha fatto vincere. È riuscito ad abbinare la qualità e i risultati, dandoci la serenità necessaria. Ho vissuto otto anni di Ancelotti al Milan in modo bellissimo”.
Su Cragnotti
“All’inizio il rapporto fu bellissimo, ma poi con me non si è comportato benissimo. Doveva vendere alcuni di noi, ci ha fatto passare per traditori e questo non l’ho accettato. Io avevo fatto tanto alla Lazio, avevo ricevuto anche tanto, e ne dovevo uscire in un altro modo. Non capisco perché il presidente con me sia stato sleale, perché non abbia detto la verità: che ci diedero via perché dovevano risanare i conti e non perché noi volevamo andarcene. L’ultimo anno l’ho vissuto male, perché per sette mesi non pagarono gli stipendi e i miei compagni venivano da me, che avevo ventiquattro anni e dovevo io rispondere a tutti i giocatori che non prendevano i soldi. Lui invece era in ufficio. Cragnotti poteva fare meglio, molto meglio”.
Gioie e Dolori
“Ricordo la Coppa Italia con la Lazio contro il Milan, prima non avevo vinto mai niente. Poi lo scudetto con la Lazio, chiaramente. In particolare per come è avvenuto, all’ultimo secondo. E’ stata una gioia immensa. E ancora le grandi vittorie con il Milan, anche quelle sono state importantissime. La Champions League a Manchester contro la Juventus. Importanti, per la mia vita di calciatore e di uomo. Ho avuto due grandissime delusioni che mi hanno ucciso. La prima è stata la finale dell’Europeo contro la Francia, dove all’ultimo secondo abbiamo preso il goal. Mi sono ripreso solo dopo cinque o sei mesi. La seconda ad Istanbul con il Milan, quando il Liverpool ci rimontò tre goal. Per quella ci ho messo, a tornare in me, sei/sette mesi, un mese in più”.
Il suo erede
“Spero che Romagnoli faccia una carriera importante. Io credo che un giocatore per affermarsi debba giocare la Champions League, debba fare i Mondiali, debba fare stagioni in vetta e poi credo che possa essere valutato per quello che è. Deve competere al top per essere classificato al top”.
Su Gascoigne
“Era un giocatore fantastico. Io non ho visto molti giocatori capaci di fare le cose che faceva lui. Aveva grande qualità, estro, potenza fisica. Poi, per il resto, era Gascoigne, era un giocherellone, un bambinone che spingeva sempre la macchina al massimo. Un ragazzo di grande cuore con i compagni, con tutti. Viveva la vita a duecento all’ora. Troppo veloce”.
Sulle esperienze all’estero
“A Montreal sono stato benissimo, c’è una comunità italiana di cinquecentomila persone, gente andata lì per lavorare e vivere tanti anni fa, con i valori di una volta, gente spettacolare. Calcio in evoluzione che comunque adesso sta diventando una realtà importante e credo che crescerà ancora perché qui, nel campionato USA, ci sono squadre che investono milioni e milioni e vedrà che sarà nel futuro un mercato competitivo. In India, invece, sono ancora in alto mare. Il campionato dura due mesi, hanno iniziato due anni fa e la strada dunque è lunga, per crescere. Lì ci sono stato due settimane. Mi ha chiamato Materazzi. Ho giocato quattro partite e poi mi sono stirato. Ero a casa, erano due anni che non giocavo e non ce la facevo più, sinceramente. Quando uno smette dopo un po’ dice: ‘e adesso che faccio?’. Materazzi mi ha chiamato, sono andato. In una trasferta, dovevamo raggiungere l’aeroporto, ma non c’era il pullman che si era rotto e abbiamo preso il taxi. Con noi c’era Elano, un giocatore brasiliano abbastanza famoso che è entrato nel taxi: si è seduto e ha visto che, tra sportello e sedile, c’era un serpente verde grandissimo. Allora si è lanciato urlando fuori dall’auto. E’ caduto sull’asfalto di faccia e si è sbucciato i gomiti. Era un posto un po’ particolare, l’India”.
Tra Miami e l’Italia
“Posso dire che sto benissimo. I miei figli stanno bene, mia moglie sta bene, la terza figlia è nata qua e mi trovo bene, faccio fatica ad andare via. In Italia devi arrivare pronto, perché tanta pazienza non c’è: o sei pronto o ti cacciano via, perciò, per la mia formazione personale, preferisco stare qui per adesso. Un domani. magari, sì”.
Su Ibrahimovic
“Ora si è fatto male e gli faccio un grande in bocca al lupo. Ibrahimovic non lo vorrei mai incontrare, anche a trentacinque anni. Ho avuto la fortuna di giocarci insieme: non ha punti deboli, ha gambe, fisicità, di testa di piedi, è un tecnico, forza fisica impressionante. Centravanti perfetto”.
Su Simeone
“Si vedeva che era predisposto per fare l’allenatore. Un pazzo scatenato per il lavoro, anche quando era libero, andava a correre, era molto attento all’aspetto tattico, un competitivo, un grandissimo che non voleva mai perdere. Simeone si vedeva, era quello che mostrava già doti di guida e di leadership”.
Fonte: ItaSportPress