Champions, sfide impossibili
Un anno fa un calcio d’angolo veniva battuto velocemente e cambiava il corso della storia. 7 maggio 2019, ad Anfield va in scena la semifinale di ritorno di Champions League tra Liverpool e Barcellona. I catalani hanno vinto 3 a 0 all’andata, sembra una missione impossibile per tutti, tranne per i cinquantacinque mila tifosi presenti. Sul terreno di gioco arrivano senza sosta cori e incitamenti. I Reds ribaltano il risultato prima di tutto grazie a loro, che hanno concretizzato così bene il concetto di dodicesimo uomo in campo. Non solo, hanno anche riaffermato uno dei principi universali, di cui il calcio si fa interprete. Quella sera, tutte le persone allo stadio, di qualsiasi fede fossero, hanno cantato l’inno della fratellanza, del tenersi per mano, della promessa a non restare mai soli, You’ll never walk alone.
Il pubblico di Anfield si è fuso con i giocatori creando un’unica grande squadra, che si impone, ancora una volta, sui singoli. Infatti, nonostante al Liverpool mancassero giocatori chiave come Firmino e Salah (8 goal e 3 assist fin lì in Champions), le doppiette di Origi e Wijnaldum hanno steso, lo stesso, il Barcellona. I Blaugrana, dal canto loro, hanno subito il paradosso delle maggiori occasioni prodotte rispetto all’andata, ma con un risultato del tutto diverso, alimentato dalla maledizione delle rimonte subite, come ricorda bene la Roma, che, appena l’anno prima, li aveva ribaltati 3 a 0 all’Olimpico.
Tra le righe di questa indimenticabile sfida, c’è la personale storia di Philippe Coutinho. Il grande ex dei Reds vive sulla propria pelle le parole di Jurgen Klopp. Il tecnico, pronto a tutto per farlo restare, gli aveva detto che, al Barcellona, sarebbe stato soltanto uno dei tanti campioni di passaggio, invece, a Liverpool, gli avrebbero alla fine costruito una statua. Una profezia che si avvera: tra pochi palloni toccati, qualche fischio e una prestazione incolore, il fantasista brasiliano esce al sessantesimo, senza aver lasciato traccia.
Klopp ci aveva visto lungo e, anche in questa partita, dimostra di capirci di calcio. La sua squadra pressa gli avversari in maniera forsennata e, appena riconquista palla, verticalizza immediatamente. Non c’è mai il tempo di respirare. E’ il passaggio di consegne tra un calcio che aveva nel possesso palla ricercato e venerato il suo stile di vita e un modo di giocare meno ragionato, più veloce, più inglese. E dove poteva avvenire una rimonta così incredibile, se non in Inghilterra, la patria del football.